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13 febbraio 2007

Parmalat, il crack annunciato

di Giuseppe Oddo

Sei anni prima della bancarotta una consulenza tecnica redatta nell'aprile '97 per conto della Procura di Parma lanciava l'allarme sulla Parmalat, denunciandone il dissesto. La perizia era stata richiesta dal pm Francesco Brancaccio nell'ambito di un'inchiesta che sarà poi archiviata nel giugno '97.
Tutto scaturisce dall'interpellanza di quattro senatori del Pds, che nel dicembre '93 chiedono conto al ministro del Tesoro in carica, Piero Barucci, dei rapporti creditizi tra Cariparma, Banca del Monte e Parmalat. L'interpellanza finisce sul tavolo dell'allora procuratore capo di Parma, Giovanni Panebianco, che dopo il default sarà costretto a lasciare l'incarico e sarà processato a Firenze per corruzione in atti giudiziari (processo tuttora in corso). Panebianco investe del caso Brancaccio. Che, nel novembre '95, incarica un consulente di andare a fondo sulla questione.
Il professionista prescelto è Mario Valla, un tranquillo ragioniere commercialista parmigiano, oggi sessantacinquenne, che lavora da anni per i magistrati di Parma. Valla non è iscritto ad alcun partito, non appartiene alla schiera dei commercialisti a libro paga di Calisto Tanzi, non fa di mestiere né il revisore di bilanci né l'analista finanziario, e non è nemmeno laureato alla Bocconi: è un ragioniere di campagna, però libero e onesto. Studia con i mezzi che ha i bilanci della Parmalat del '93, '94 e '95. Con l'aiuto dei Carabinieri acquisisce documentazione dalle banche sotto inchiesta. Poi inserisce i dati in un software della Pirola acquistato nella libreria sotto casa, vi elabora numeri e indici, e scopre ciò che a Parma tutti sanno: la Parmalat è piena di debiti che non riesce a rimborsare, sta in piedi con i finanziamenti delle banche, di questo passo potrebbe fallire.
Dall'esame dei bilanci, annota il perito, «si rileva un costante incremento della posizione debitoria»; l'esposizione verso il sistema bancario risulta «eccessiva e caratterizzata da incrementi sproporzionati». Non solo: «I finanziamenti ottenuti sono stati effettuati, in larghissima parte, a breve termine», scadono, cioè, nel giro di 12 mesi, mentre la Parmalat Spa è in grado di rimborsarli in non meno di 14 anni. E, se ai debiti a breve si sommano quelli a lungo, la capacità di rimborso con autofinanziamento sale addirittura a vent'anni.
«L'incontenuta espansione dell'indebitamento - aggiunge Valla - risulta sintomo di un peggioramento che rischia di rendere impossibile onorare i debiti in essere». E prosegue: «L'autofinanziamento non copre neppure interamente gli oneri gravanti sui debiti, evidenziando una spirale piuttosto critica».
Il tecnico della Procura descrive una Parmalat in stato di avvitamento finanziario. «È interessante notare come le società italiane del gruppo - alcune addirittura con patrimonio negativo - presentino quasi esclusivamente risultati di gestione in perdita», un punto su cui ha insistito anche Stefania Chiaruttini, consulente della Procura di Milano, durante la sua testimonianza al processo per aggiotaggio sulla Parmalat in corso nel capoluogo lombardo.
Il ragioniere coglie i pericoli della scarsa capitalizzazione del gruppo Tanzi, e ammette che, «in una situazione congiunturale particolarmente negativa o in cui non riesca a veder rinnovati i finanziamenti ottenuti», la Parmalat possa «rischiare di diventare insolvente».
Valla scopre anche un'incongruenza tra i finanziamenti dichiarati dalla Centrale dei rischi e quelli forniti da Banca del Monte. Anche questo tema sarà fonte di polemiche dopo il crack. Si accorge che il costante incremento dei debiti coinvolge le società della famiglia Tanzi e in particolare la Itc&p, quella per il turismo, che «risulta essere in situazioni estremamente problematiche ed a rischio». Constata che le acquisizioni estere, come quella di Beatrice Food in Canada, pur aumentando i ricavi del gruppo, contribuiscono ad aggravarne l'esposizione e le perdite. Anche questo sarà oggetto di analisi nella perizia Chiaruttini.
Conclude Valla: «Considerando l'esposizione verso il Sistema bancario, si può quindi certamente affermare che senza l'appoggio dello stesso Sistema e la sua disponibilità a rinnovare il credito concesso, l'impresa non riuscirebbe a sussistere...La situazione della società presenta quindi un elevato grado di rischio, particolarità che deve essere attentamente valutata dai finanziatori, sia con riferimento ai crediti concessi che in relazione a nuovi eventuali ed ulteriori finanziamenti».
Potevano ignorare gli istituti italiani e le banche d'affari estere ciò che risultava evidente a un solido e onesto, ma pur sempre isolato, professionista di campagna; ciò che un software della Pirola, a larga diffusione, aiutava a mettere in luce? Qualcuno dovrebbe inoltre spiegare perché né il pm né il gip di Parma si siano sentiti in dovere di informare Consob, Banca d'Italia e Guardia di Finanza dell'esistenza della relazione Valla: un gesto che avrebbe potuto dare la sveglia alle autorità di controllo ed evitare che migliaia di famiglie sottoscrivessero i bond Parmalat. Collocati dalle banche creditrici proprio a partire dal '96-'97.



 
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