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Rialzi record per l'agricoltura

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Mercoledí 01 Agosto 2007

Roberto Capezzuoli
Il rincaro dei prodotti agricoli, in particolare quello dei cereali, ha causato finora effetti sporadici e poco visibili al dettaglio, ma è solo questione di tempo. Il coro degli analisti e degli addetti ai lavori infatti è unanime: «I rincari non sono temporanei – diceva ieri Patrice Gollier, capo della cooperativa francese Invivo – ma strutturali». Identico parere era stato espresso nelle scorse settimane da Jeffrey Currie, di Goldman Sachs.
Che ci si riferisca al prezzo del frumento francese o a quello del mais Usa, il balzo delle quotazioni è cospicuo e si è già trasferito a valle, sul settore dei mangimi, quindi anche alla zootecnia e ai prodotti caseari.
La Borsa principale, il Chicago Board of Trade, in dodici mesi ha visto il future sul frumento per consegna vicina salire del 60%, quello del mais del 35%, i semi di soia del 42%. Il primo ha appena corretto le punte massime degli ultimi 11 anni, avvicinando i 6,6 dollari per bushel, e la soia oscilla intorno ai record triennali di 9,13 $/bu.
Il mais si muove adesso tra 3,20 e 3,40 dollari e ha perso più del 20% rispetto al primato decennale stabilito in febbraio, ma il merito è solo dell'enorme superficie che gli agricoltori americani hanno deciso di dedicare a quello che è considerato, dopo la canna da zucchero, il più promettente prodotto di base per la trasformazione in bioetanolo. E quindi la teorica "concorrenza" con il greggio può far sì che i rincari del petrolio (ieri a un soffio dal record storici) spingano in alto anche i cereali.
Gli effetti di questi rialzi per il momento sono aneddotici: nelle caffetterie Starbucks i prezzi sono aumentati per compensare il rincaro del latte, salito in 12 mesi negli Usa del 63%; in autunno è probabile un ritocco dei prezzi della birra perché l'orzo ad Amburgo ha toccato punte di 260 euro per tonnellata e il malto che se ne ottiene è rincarato del 20% dall'inizio dell'anno; in Ungheria il caro-mangimi farà aumentare probabilmente il prezzo della carne.
A monte c'è il solito ciclo vitale dell'agricoltura, con la siccità che nei mesi scorsi ha danneggiato i raccolti nell'Est europeo e con le eccessive piogge che hanno procurato danni altrettanto gravi alle coltivazioni negli Stati Uniti e in Francia. Però a monte c'è anche il mercato globale: i consumi alimentari salgono in tutta l'Asia, guidati da Cina e India, e per diverse coltivazioni si stanno facendo sempre più importanti, ancorché discussi, gli usi per la trasformazione in biocombustibili.
Ques'ultimo aspetto manca di continuità. Il caso dello zucchero lo dimostra: il coloniale grezzo, sulla scia delle brillanti prospettive come alternativa alle benzine (una volta trasformato in bioetanolo), ha toccato a New York all'inizio del 2006 punte di 19,30 cents per libbra, il massimo da 25 anni, ma poi è bastata la solida crescita della produzione in India e Brasile per farlo tornare intorno a 10 cents. Lo stesso potrebbe avvenire al granturco a fronte di un forte aumento delle superfici seminate.
Il rapporto pubblicato ieri dalla Commissione europea sostiene che nel 2020 la Ue, per rispettare l'impegno di mettere nei motori il 10% di biocarburanti, dovrà consumare 59 milioni di tonnellate di mais e frumento tenero. Tradotto, significa che il 18% della produzione cerealicola dell'Unione europea finirà nei serbatoi automobilistici. Può sembrare una quota sopportabile, ma è certamente una base sufficiente a dare impulso agli acquisti speculativi.
Le tre C, «clima», «Cina» e «carburanti», costituiscono motivi validi per investire nei futures dei prodotti agricoli, che fino allo scorso anno erano rimasti ai margini del rally delle materie prime. Il trasferimento a valle, presso il consumatore, sarà forse ritardato e attenuato, ma non potrà mancare.


GLI INDICATORI INTERNAZIONALI

Le opzioni sulle commodities

Tra i tanti strumenti per monitorare i vari settori delle materie prime, quelli più validi, utilizzati anche per investire in commodities, sia pure indirettamente, sono gli indici elaborati dalle grandi banche d'affari e dagli istituti di ricerca. Tutti abitualmente hanno sotto-indici che permettono di mettere sotto la lente il comparto interessato: quello del Commodity Research Bureau, basato su futures Usa (Crb Foodstuffs) è una valida misura dell'inflazione alimentare americana, così come il Goldman Sachs Agricultural Index. Invece i futures trattati al Cbot di Chicago sono il punto di riferimento dei singoli prodotti e sono usati dagli speculatori per cercare profitto e da produttori e trasformatori per proteggere rispettivamente gli introiti e i costi. I prezzi in questo caso sono in cents Usa per bushel, dove il bushel è una misura che nel caso del frumento "vale" 60 libbre e nel caso del mais 56.

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