Non sarà caro-pasta, me è certo che già nei prossimi giorni potrebbero scattare i nuovi listini. E dai circa 50-70 centesimi per un pacco di mezzo chilo si dovrebbe passare a 60-80 centesimi. Le industrie infatti stanno trattando con la distribuzione i ritocchi per far fronte all'impennata del prezzo del grano duro, primo e unico ingrediente del prodotto simbolo del made in Italy.
«Sullo scaffale oggi soltanto il sale costa meno della pasta, ma così l'industria non può andare avanti»: è lo sfogo delle principali aziende che stanno negoziando sulle nuove forniture. «La scarsità di grano è un problema mondiale – spiega Furio Bragagnolo, vice presidente dell'Unipi (Unione degli industriali della pasta) e presidente di pasta Zara (oltre 200mila tonnellate l'anno di produzione, il 90% per l'estero) – ed è ormai da un paio di anni che la filiera è costretta a sacrifici per contenere gli aumenti al consumo. Ma ora la questione è esplosa».
Rispetto allo scorso anno la semola di grano duro, che incide per il 55% sul costo, è lievitata di circa il 58 per cento. Una fiammata che si aggiunge agli aumenti del 27% per l'energia e del 9% degli imballaggi. Una confezione di pasta mediamente costerà 14 centesimi in più, con un incremento tra il 20 e il 25%. «Il pastificio Zara – spiega Bragagnolo – spalmerà l'aumento in tre tranche, la prima di 5-6 centesimi ad agosto».
«Il nostro settore si avvia verso una crisi profonda – sottolinea Leonardo Valenti, amministratore delegato di «Del Verde» (una produzione di 300mila quintali, il 60% esportato)– inevitabile quando fenomeni così violenti si verificano in tempi tanto stretti. L'impennata dei prezzi del grano duro appesantisce una situazione già difficile». «La pasta – sottolinea Valenti – è un prodotto maturo, ma che richiede un'organizzazione complessa sul piano industriale e logistico. Senza contare i severi controlli sulla qualità. Prevediamo un aumento del 10% e così ancora una volta assorbiremo in azienda parte dei rincari».
La marginalità del settore è bassissima. Una tonnellata di buona semola costa 450-480 euro, un 40% è assorbito da produzione e logistica, l'imballaggio pesa per un 7%, un altro 40% lo coprono i costi della distribuzione. E il quadro non cambia per un'azienda come Divella che dispone di impianti di molitura. «La filiera più corta – afferma Marcello Valentini, responsabile export della Divella (e vice presidente Unipi) – non ci salva dai rincari. Il prezzo del grano è di 300 euro a tonnellata contro i 200 del 2006. E comunque la nostra azienda chiederà aumenti di pochi centesimi. Ma vogliamo ribadire che la qualità ha un costo elevato in termini di lavorazione e di ricerca continua di materie prime per avere la pasta al dente a cui sono abituati i consumatori italiani».