Studenti, se la "vita è bassa" non entri in classe

di Francesca Milano

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12 settembre 2007


Tempi duri per la moda scolastica, che si ritrova a fare i conti con le circolari dei presidi. Al bando pantaloni a vita bassa - sia per le ragazze che per i ragazzi - , scollature eccessive, minigonne, ombelichi scoperti. Ma il divieto è arrivato anche per i sandali infradito e per i pantaloni corti.
L'ultimo istituto scolastico in ordine di tempo a mettere a punto queste norme è stato il liceo scientifico Enrico Fermi di Padova. La preside Annunziata Gagliardi ha deciso di mettere in chiaro le regole da rispettare a scuola sin dai primi giorni di lezione. "E' giusto ricordare ai ragazzi che sono tenuti a vestire in modo adeguato - spiega la preside - per rispetto ai compagni, ai professori e all'istituzione scolastica".
Prima del liceo padovano, comunque, c'erano stati altri casi di provvedimenti relativi all'abbigliamento consentito in classe: già nell'ottobre 2004 ad Avezzano, in provincia de L'Aquila, il dirigente scolastico dell'istituto statale "Vitruvio Pollione", Angelo Bernardini, aveva imposto ai suoi studenti il divieto di indossare pantaloni che lasciassero scoperto l'ombelico o parte del fondoschiena. Ma c'era dell'altro: la (lunga) lista di divieti comprendeva anche il "no" agli auricolari e il divieto di berretto in classe, una moda di tendenza ma anche un segno di "cattiva educazione".
Stessa decisione ad Angri, in provincia di Salerno, dove nello scorso mese di luglio la preside Giovanna Chiancone, chiamata a presiedere una commissione dell'esame di stato, è rimasta a dir poco sconcertata nel vedere i maturandi presentarsi davanti agli esaminatori con la biancheria intima in vista: boxer e slip che spuntano dai pantaloni a vita bassa scesi sui fianchi. Di qui la proposta di inserire a norma di regolamento scolastico il divieto dei capi di abbigliamento incriminati. All'inizio la preside di Angri aveva addirittura pensato di coinvolgere le famiglie, in particolare le mamme. Poi, però, l'ipotesi è sfumata: "Sono le stesse mamme – aveva spiegato la preside – che in alcuni casi vestono in maniera ancora più svestita le figlie".
Le famiglie sono state tirate in causa su un altro fronte caldo, quello che riguarda i telefonini in classe. Tra le regole introdotte lo scorso 15 marzo dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni nel suo decalogo c'era anche l'annuncio dell'introduzione normativa della possibilità per ciascuna scuola di richiedere alle famiglie di sottoscrivere, a inizio anno scolastico, un "patto sociale di corresponsabilità" verso i propri figli. In sostanza, chi usa il telefonino cellulare in classe viola il divieto contenuto nello statuto delle studentesse e degli studenti (Dpr n. 249/1998) e per questo rischia sanzioni che vanno dalla sospensione alla non ammissione allo scrutinio finale o all'esame di Stato. Una linea dura che si è resa necessaria dopo la lunga serie di episodi di bullismo in classe ripresi con i cellulari e messi in rete attraverso il sito YouTube o altri portali internet.
La prima circolare sull'uso del telefonino in classe la firmò il ministro Berlinguer, quasi dieci anni fa: in quel caso riguardava i docenti, a cui veniva vietato il cellulare durante le lezioni. Adesso, però non è più dalla cattedra ma dai banchi che partono gli squilli molesti, che distraggono i compagni e costituiscono "una grave mancanza di rispetto per il docente", come specifica lo stesso Fioroni nella sua circolare n. 249. I precetti sui cellulari riguardano anche gli altri dispositivi elettronici come l'i pod, bandito dalle aule. Almeno sulla carta.

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