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13 aprile 2005

«Roberto Franceschi: Processo di Polizia».

La sera del 23 gennaio 1973 all’Università Bocconi di Milano è in programma un’assemblea. Come accade spesso in quegli anni scoppiano dei disordini. La polizia spara. Viene ucciso uno studente di vent’anni, Roberto Franceschi, e ferito un operaio, Roberto Piacentini. Da quel momento inizia un’odissea giudiziaria che in ventisei anni non saprà mai dare un volto ai colpevoli. «Roberto Franceschi. Processo di Polizia», curato da Daniele Biacchessi, ricostruisce attraverso le documentazioni giudiziarie e le memorie depositate dalle parti civili depistaggi, manomissioni, reticenze di un caso di giustizia mancata.

Incontriamo il curatore del testo, caposervizio di Radio 24-Il Sole 24 Ore e autore di numerosi libri d'inchiesta.

Durante la presentazione di «Roberto Franceschi. Processo di Polizia», lei ha affermato che questo libro solo apparentemente appartiene al passato. Qual è il senso di questa affermazione?

Se rileggiamo le dichiarazioni di alcuni ministri dell’Interno nel corso degli anni ritroviamo il senso di questa affermazione. Il giorno seguente alla vicenda di Roberto Franceschi, in un clima molto acceso, alcune forze politiche chiedono spiegazioni al Governo su che cosa sia avvenuto la sera prima. La risposta dell’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor è propria di chi, pur non ignorando come sono andate le cose, difende l’operato delle forze dell’ordine e non si assume alcuna responsabilità. Parole simili sono state pronunciate ad esempio da Francesco Cossiga, ministro dell’Interno nel 1977, quando fu uccisa a Roma Giorgiana Masi e più recentemente dal Ministro Claudio Scajola, dopo i fatti di Genova del G8. Per questo motivo la vicenda di Roberto Franceschi non appartiene al passato e diviene anzi una storia emblematica, perché, pur essendo stata riconosciuta una giustizia civile, con relativo risarcimento per la famiglia, in sede penale nessuno fu dichiarato colpevole. Questa mancata trasposizione della verità storica trascende la vicenda di Franceschi e arriva a comprendere tutte le stragi (prima fra tutte quella di Piazza Fontana), in seguito alle quali per le migliaia di vittime non c’è stata alcuna giustizia: anche in quei casi, pur essendo state definite delle precise responsabilità, in tribunale non si è giunti a nessuna condanna.

Ha curato il testo a quattro, anzi a sei mani, ossia insieme alla madre di Roberto Franceschi, Lydia e a Marco Janni, avvocato della parte civile. Come è stata quest’esperienza?

È stata una bellissima esperienza, perché tutti e tre venivamo da strade differenti. Per me, che nel 1973 avevo 17 anni, l’uccisione di Roberto Franceschi ha rappresentato lo spartiacque che mi ha spinto all’impegno politico e sociale. Per Lydia è stato il dolore di una madre. Per Marco Janni è stato un caso difficile con cui confrontarsi. Abbiamo, quindi, visto questo libro da tre punti di vista diversi: il mio era di tipo narrativo. Sono uno scrittore e da dieci anni cerco di fondere l’inchiesta giornalistica con la narrazione e il racconto. Per Lydia è stato uno strumento per raccontare la vicenda di suo figlio e la sua, mentre per Marco Janni è la storia di un processo complicato, instradato male fin dall’inizio, con manomissione di corpi di reato e sottrazione di prove. Una vicenda giudiziaria delicata, che ha visto nel corso del processo, fra gli imputati, non solo gli agenti di pubblica sicurezza Agatino Puglisi e Gianni Gallo, ma anche il Vicequestore Tommaso Paolella, figura centrale nell’inchiesta.

Chi era Roberto Franceschi? E chi sarebbe diventato?

Sarebbe diventato uno dei migliori economisti italiani. Allora aveva vent’anni ed era un ragazzo straordinario. Era molto impegnato nelle letture, sia politiche, sia economiche. Penso che sarebbe diventato un economista keynesiano, fortemente orientato verso la trasformazione della società, pur mantenendo delle regole di carattere sociale, per salvaguardare la classe meno abbiente.

La storia di questo caso ci ha posto di fronte a uno Stato che cerca di autoassolversi a ogni costo e non riesce a riformarsi. A quali conseguenze porta questo comportamento?

Alle conseguenze che vediamo oggi. Facendo un piccolo passo indietro, dobbiamo ricordare che se si decide di fare politica, è necessario assumersi delle responsabilità. In Italia, invece, abbiamo assistito a un atteggiamento opposto. All’omicidio di Franceschi sono seguite non solo manomissioni di corpi di reato, ma anche testimonianze, sia in sede parlamentare sia in sede processuale, dell’allora capo della Polizia Angelo Vicari e del Questore di Milano Ferruccio Allitto Bonanno, che scaricarono ogni responsabilità, così come fece la classe politica. L’incapacità da parte dello Stato di riformarsi ha reso fragile e incrinato il suo rapporto con il cittadino.
Lydia Franceschi in un'intervista rilasciata a Corrado Stajano dice: «Roberto è uno dei morti della non memoria, della memoria mancata». Questo volume è in parte anche un tentativo per restituirgli quella memoria?

Sicuramente sì. Purtroppo c’è una lunga catena di morti uccisi in scontri di piazza, che non solo non hanno avuto una giustizia, ma che sono stati in parte dimenticati. Se noi ipotizzassimo una sorta di “tour” da Piazza Fontana alla Questura di Via Fatebenefratelli, da Via Mascagni a Via Mancinelli, scopriremmo una Milano costellata di lapidi. Ricordi di fatti che pesano ancora oggi su un presente, che può essere capito solo attraverso il passato. Ma questo è un paese di rimozioni. Il fatto che oggi un manipolo di personaggi, con le stesse caratteristiche di ieri, possa decidere di aspettare sotto casa Massimo D’Antona o il professore Marco Biagi, dimostra che la nostra società non ha capito le cause che avevano prodotto certi fenomeni. La violenza provoca violenza. E’ compito di una classe politica, disposta ad assumersi le proprie responsabilità, capirne le cause. Se però la classe politica non ha trovato alcuna risposta, questo non è stato fatto neppure da parte della società civile. Ecco perché Roberto Franceschi è un ragazzo della non memoria: la società non lo ha ricordato, perché non ha compreso le cause che hanno prodotto la sua morte, le stesse che hanno causato la morte di Carlo Giuliani tre anni fa. Ecco perché non è una storia del passato… ma del presente.

«Roberto Franceschi. Processo di Polizia»
a cura di Daniele Biacchessi
Edizioni Baldini Castoldi Dalai
Pagine 273, euro 14,10



 

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