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20 maggio 2005

La Milano "plebea" raccontata da Gianni Biondillo

Dopo il successo registrato lo scorso anno da “Per cosa si uccide”, Gianni Biondillo torna con il nuovo romanzo “Con la morte nel cuore” a raccontare, con l’ironia e l’acume che gli è proprio, la sua città. Attraverso le indagini condotte dall’Ispettore Ferraro si disegnano i contorni di una realtà urbana stridente e contraddittoria, colorata e multietnica. Un romanzo che fa emergere la verità di Milano, partendo dai suoi margini, in un affresco vivace e allegro, dove i personaggi più singolari sono pronti a raccontare la propria storia. Abbiamo incontrato l'autore, rivolgendogli alcune domande sull'ultima fatica.

Lei è architetto e scrittore, le capita di vivere in modo sovrapposto le due attività? Possiamo dire, come disse Carlo Levi di sé (riferendosi alla sua professione di pittore), che gli architetti dicono che lei è uno scrittore e gli scrittori che è un architetto?

Sì, sto vivendo questa dualità in maniera piuttosto faticosa e schizofrenica. È un momento in cui sono impegnato in più cose e sto lavorando molto anche come architetto. Ci sono delle volte in cui mi perdo e mi ritrovo a pensare al libro quando sono in un cantiere e a pensare al cantiere, mentre sto scrivendo. Però ho scelto tutto ciò, mi piace, ho sempre vissuto cercando di essere “multitasking”, preso da quella che io chiamo “sindrome di Leonardo da Vinci”, ossia riuscire a fare tutto nella vita. Carlo Levi, tra l’altro, è un autore che conosco benissimo: ho curato una sua serie di scritti d’architettura.

Pietro Cheli, durante la presentazione del libro ha definito il suo “uno sguardo metropolitano forte, capace di trovare le sfumature del grigio della città”. Da cosa dipende questa sua attitudine? Che rapporto ha instaurato con Milano?

Ci sono diversi livelli personali nel mio rapporto con Milano. Il primo, il più esplicito, è quello professionale: sono un architetto e ho uno sguardo nei confronti della realtà urbana più tecnico, rispetto agli altri. Poi c’è un livello umano ed emozionale nei confronti di una città che mediamente non ama ormai nessuno. Fino a qualche anno fa si percepiva l’orgoglio di essere milanesi, ora questo orgoglio è un po’ sparito. Lo dimostra la fuga continua verso i week-end. La città è lasciata agli extracomunitari, i nuovi milanesi, che se ne appropriano. Non si va più in piazza, è venuto a mancare un rapporto colloquiale e cordiale con la città. Avere uno sguardo urbano è sempre stato il mio desiderio sia nel primo, sia nel secondo romanzo. La scelta di utilizzare il genere poliziesco era voluta, perché mi permetteva di aggirarmi per la città. Forse nel primo romanzo sono più evidenti i riferimenti urbanistici, qui sono più sociologici.

Se è vero che Milano, come in “Per cosa si uccide” è la vera protagonista del romanzo, perché ha scelto il genere giallo come occasione e pretesto per parlare delle contraddizioni della nostra realtà urbana?

Il giallo è un pretesto perfetto. Mi piace la parola pretesto, perché io mi sento piuttosto stretto nella griglia del genere. Il genere per me è un mezzo, per fare quello che mi serve. Se una mattina mi venisse in mente di raccontare un’altra storia, allora potrei utilizzare un altro genere/pretesto, ad esempio il poema in ottonari concatenanti o il romanzo epistolare, perché io non mi considero un giallista, ma uno scrittore.

All’Ispettore Ferraro, una sorta di antieroe metropolitano alle prese con frustrazioni, rimpianti ed errori continui…, lei riserva sempre uno sguardo benevolo e affettuoso. Ma quanto Biondillo c’è in Ferraro? A chi si ispira il personaggio?

Ogni scrittore è un egocentrico assoluto ed è preso da una sorta di delirio di onnipotenza, delirio del dottor “Frankenstein”, che lo porta a mettere insieme pezzi di vita vissuta, persone conosciute e momenti immaginari. Una volta messi insieme i pezzi, cerca di dare loro vita, sperando che i personaggi si trasformino in persone. Lo sguardo compassionevole nei confronti di Ferraro dipende dal rapporto di partecipazione emotiva molto forte che ho nei confronti dei derelitti, degli ultimi, di quelli che normalmente non racconta mai nessuno.

Lei ha definito il suo un romanzo “plebeo”. Qual è il senso di questa affermazione?

Perché si occupa di persone che raramente vengono descritte, come i barboni, gli extra comunitari, quelli che abitano nelle periferie urbane. Perché utilizza il genere poliziesco che è già di per sé un genere popolare. Perché, infine, non si vergogna di mischiare l’aulico con il dozzinale o con l’uso anche sboccato della lingua. Tutto ciò dipende anche da un dato autobiografico: io vengo da Quarto Oggiaro e conosco quello che racconto. Il mio popolo non è un popolo per sentito dire, ma è per esperienza diretta e vita vissuta.

Dalle “sudate carte” di Ferraro all’amico Mimmo che di cognome fa “Jodice”, fino al dialetto stretto parlato dai calabresi doc, lei alterna continuamente più registri linguistici e stilistici. Lo scopo, come lo era per Gadda, è di descrivere il mondo che è un “nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero ”, attraverso un miscuglio o pastiche linguistico?

Esattamente così. Uno dei miei padri ideali è proprio Gadda, nel suo desiderio di districarsi nell’indistricabile dell’esistenza. Poi ho una vera passione per le lingue, i dialetti, i modi di dire, i gerghi, le lingue televisive o quelle accademiche. Mi interessa tutto, ogni tipo di linguaggio. Cerco di riproporre ciò anche nei modi di scrittura: dai dialoghi ai monologhi interiori, alle sceneggiature cinematografiche. Quindi Gadda è sicuramente un riferimento insieme a Pasolini, di cui condivido lo sguardo sociologico, culturalmente attento verso i diseredati.

Si dice che abbia già scritto il terzo della serie. Possiamo dormire sonni tranquilli, sapendo che Ferraro tornerà a farci sorridere?

No perché Ferraro non è il protagonista del prossimo romanzo. Non sarà un giallo. So che è una mossa poco furba e per nulla attenta al marketing, ma ho bisogno di raccontare delle storie e la prossima parlerà di ragazze. Entrambi i miei libri sono pieni zeppi di personaggi: nessuno mi vieta di pensare che ognuno di quei personaggi voglia raccontare una sua storia. La prossima sarà quella di giovani ventenni che vogliono fare un viaggio. Sarà una storia semplice, lineare. Volevo prendere una boccata d’aria. Questo non significa che Ferraro esca dai miei interessi, gli sto dando solo una vacanza.

Gianni Biondillo
Con la morte nel cuore

Guanda Editore, 16,00 euro.



 

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