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22 aprile 2005

Il copyright nell'era di Internet

Prima o poi doveva accadere. Esiste un momento – ed è l’oggi in cui tutti ci troviamo a vivere – in cui l’avvento di una nuova tecnologia segna un inevitabile e radicale mutamento delle prospettive valide fino al giorno prima. Quando un sistema (giuridico, economico, commerciale, tecnologico, culturale) viene sfidato da una nuova, grande invenzione, allora è giunto il momento del conflitto, tanto grande quanto potente e significativo è ciò che di nuovo si affaccia all’orizzonte della collettività.
Tutto questo è accaduto con l’avvento di Internet, e, tra un byte e l’altro, forse ancora sottotraccia si sta giocando una importante partita che riguarda i diritti individuali, le proprietà intellettuali e commerciali, insomma qualcosa che riguarda da vicino il nostro mondo economico e sociale. Di tutto questo ci parla lo stimolante saggio di un noto avvocato statunitense, Lawrence Lessig, docente alla Stanford Law School, dal titolo Cultura libera, che suona, oltre che come un auspicio dell’autore, anche come un vero e proprio programma operativo.

Da diversi anni ormai Lessig si occupa in particolare del rapporto tra nuove tecnologie e diffusione delle informazioni e delle conoscenze nel quadro del sistema giuridico statunitense. Il suo impegno non appare, però, solo come uno sforzo di interpretazione teorica: assume invece i contorni di una vera battaglia contro un sistema che, a suo dire, imbavaglia le conoscenze e la cultura rendendola sempre più difficilmente accessibile al grande pubblico.

Bersaglio principale del libro è la guerra senza quartiere scatenata dall’industria dell’intrattenimento, in nome della tutela dei diritti degli autori, contro il riutilizzo creativo dei contenuti attuato mediante le nuove tecnologie.

La tesi fondamentale del testo di Lessig afferma che, allo stato attuale delle cose, la legislazione Usa sul copyright è troppo rigida e penalizzante, soprattutto nell’era di Internet, per coloro che vogliono usufruire di contenuti culturali, desiderano accrescere le proprie conoscenze e magari partire dall’esperienza di altri per poi innovare o far essi stessi progredire la scienza, la tecnologia, la cultura e il benessere sociale della popolazione. Secondo l’autore, insomma, una grande alleanza tra i maggiori colossi industriali e il potere politico (rappresentato dal governo e dal congresso degli Stati Uniti) sta fortemente condizionando la libera diffusione della cultura, provocando una perdita di creatività difficilmente calcolabile.

Bisogna subito precisare che l’autore del testo non può essere etichettato tra gli utopici fautori dell’abolizione dei diritti d’autore e di ogni meccanismo che protegga la proprietà intellettuale. Lessig, piuttosto, propende per una posizione equilibrata tra le due opzioni opposte del “tutto protetto” e del “tutto libero”, auspicando e proponendo una regolamentazione più aperta del diritto d’autore, tale da garantire una libertà e una creatività che non entri in conflitto con l’autentico spirito delle leggi sul copyright (la tutela degli autori e dei loro prodotti), che Lessig condivide appieno.

Secondo l’autore del nostro testo, l’attuale politica “protezionistica” non tutelerebbe appieno nemmeno gli artisti, i titolari dei diritti d’autore; tutelerebbe invece solamente determinati interessi commerciali messi in discussione dall’emergere delle nuove potenzialità tecnologiche e che Cultura libera denuncia. Lessig sostiene che le tecnologie digitali, legate a Internet, potrebbero dare vita ad un mercato molto più vivo e competitivo per la costruzione e lo sviluppo della cultura, che questo mercato potrebbe ospitare una gamma di creatori assai più ampia e diversificata, che i creatori potrebbero produrre e distribuire cultura in maniera più vivace e che essi stessi potrebbero arrivare a guadagnare anche di più dal nuovo sistema rispetto a quello vigente. Ciò che l’autore definisce “l’estremismo della proprietà intellettuale” non sarebbe allora che una grave violazione di un principio di libertà che Lessig vede come l’essenza più autentica e profonda della tradizione culturale e giuridica americana.

L’autore, senza fare troppi complimenti, punta direttamente il dito contro alcuni dei protagonisti di questa dura battaglia legale e culturale: l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, accusata di non tutelare semplicemente il copyright, ma di creare ingombranti dispositivi di difesa del diritto d’autore; i governi e i parlamenti, che subiscono le continue pressioni delle lobbies; il Congresso americano, che discute della possibilità di ricorrere ai virus informatici per bloccare i computer che si ritiene violino la legge; le università, che minacciano di espellere i giovani che usano il computer per condividere contenuti; un sistema tutto, che minaccia 150 mila dollari di multa per ogni violazione del diritto d’autore e che richiede decine di migliaia di dollari soltanto per difendersi contro l’accusa di violazione e che non ha l’obbligo di rimborsare alla persona ingiustamente accusata le spese affrontate per tutelarsi in sede legale.

Lo scenario che descrive Lessig appare effettivamente fosco, se è vero che anche l’operazione più semplice che si può fare in Internet – il cosiddetto “taglia e incolla” – potrebbe andare presto soggetta ad autorizzazioni. Secondo l’autore sarà allora fondamentale uscire dalla contrapposizione tra “tutti i diritti riservati” e “nessun diritto riservato”, che ha sempre contribuito a far prevalere i primi, pena l’anarchia totale. Lessig, nel suo testo, propone invece un sistema che preveda “alcuni diritti riservati”, per rispettare il copyright, consentendo però agli autori di rendere libero i contenuti, qualora lo ritengano opportuno.

Per fare questo, lo stesso Lessig ha dato vita ad una corporation non-profit, la Creative Commons, registrata in Massachussets, pensata e organizzata alla Stanford University, con l’obiettivo di realizzare appunto un copyright più flessibile, in maniera da incentivare la creazione di opere d’ingegno originali, pur se nate sulla base di studi ed esperienze altrui. Sarà lo stesso autore a determinare il tipo di licenza a cui andrà soggetta la sua opera. Molto interessanti sono le varie possibilità consentite da Creative Commons: l’autore può scegliere una licenza che consenta qualsiasi utilizzo, purché venga citata la paternità dell’opera; può optare per una licenza che ne permetta soltanto l’uso non-commerciale; può sceglierne una che conceda qualsiasi utilizzo purché le medesime libertà siano riconosciute agli utenti successivi; può permettere ogni impiego possibile all’interno delle nazioni in via di sviluppo; può consentire l’utilizzo di estratti parziali, purché non se ne ricavino copie integrali; o infine può acordare qualunque utilizzo, ma limitatamente al campo didattico. Lessig inoltre suggerisce che gli stessi autori potrebbero avere essi stessi da guadagnare da un approccio del genere, sulla base di un caso editoriale americano suscitato grazie alla pubblicazione gratuita in rete di un libro che poi ha avuto numerosissimi lettori (subito trasformatisi in acquirenti) che altrimenti non sarebbero stati attratti dal testo in questione.

L’interessante libro di Lessig vuole far comprendere, in ultima analisi, come l’idea che sta alla base di Creative Commons (che tra l’altro si sta diffondendo in alcuni Paesi emergenti, come il Brasile) non sia in competizione con il copyright, essendone invece un complemento. L’obiettivo della proposta, come già detto, non sarebbe l’attacco al diritto d’autore, ma la maggiore diffusione della creatività e delle conoscenze.

Appare naturale che si mobiliti un massiccio schieramento di forze in difesa del tradizionale sistema dei diritti d’autore, che garantisce ricche entrate alle corporations. Eppure la questione delle licenze – così come quella dei brevetti – necessita effettivamente di un approccio equilibrato, tale da non perdere di vista i diritti fondamentali in gioco, siano essi individuali (la proprietà intellettuale) siano pubblici (la libertà della cultura, il progresso conoscitivo di un’intera comunità). Cultura libera appare quindi un libro utile, sicuramente per l’avere sollecitato un dibattito che vede il nostro Paese forse ancora un po’ distratto e sonnolento rispetto agli Usa, ma che sarebbe bene non ci trovasse impreparati e inattivi.

Lawrence Lessig
Cultura libera
Edizioni Apogeo, 302 pagine, € 15,00



 

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