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20 maggio 2005

«La vita sullo schermo», attuale dopo dieci anni

Era il 1996 quando Sherry Turkle, sociologa e psicologa del Massachussets Institute of Technology, dava alle stampe il saggio Life on the screen, tradotto in italiano l’anno successivo con “La vita sullo schermo”. In quasi dieci anni la tecnologia informatica si è ulteriormente evoluta, le potenzialità offerte all’uomo si incrementano sempre più, il corso della storia accelera progressivamente e vistosamente. Possiamo dire però che La vita sullo schermo di Sherry Turkle mantiene non solo tutto il suo fascino di testo originale e preveggente, ma mette dinanzi ai nostri occhi e rende evidente a ciascuno di noi il processo di vero e proprio mutamento antropologico e sociale provocato dall’avvento dell’era di internet, con le sue profonde e significative influenze sulla definizione (o ri-definizione) dell’identità psicologica del Sé. La nuova edizione Apogeo del testo di Turkle, introdotta da un breve scritto di Mario Ricciardi del Politecnico di Torino, trova, nella sua essenza, ancora un doveroso posto nelle nostre librerie. Gli anni successivi al 1996 non hanno fatto che confermare e approfondire, ad ogni latitudine, ciò che la studiosa americana andava rilevando tra i primi naviganti internet di massa, i frequentatori di forum, chat, oppure Mud (Multi-Users Domain o Multi-Users Dungeons, spazi dove è possibile conversare ma anche agire virtualmente): il nostro rapporto con il computer sta progressivamente modificando la nostra mente e i nostri cuori, il nostro modo di pensare, le relazioni con gli altri, la politica, per molti anche il sesso. Lo schermo del computer diviene sempre più intimamente legato alla nostra esistenza: non semplice macchina da calcolo o da lavoro, ma luogo produttore di simboli, strumento di comunicazione, vero e proprio teatro di relazioni umane (anche affettive). Turkle registra e illustra un cambiamento sociale sempre più profondo grazie ai nuovi media. Se gli emblemi della società di massa potevano essere identificati nel grande e nel piccolo schermo, dove il pubblico partecipa intimamente ai drammi rappresentati dal mezzo e determinati, per così dire, dall’esterno, con l’informatizzazione e la diffusione dei personal computer cambiano le regole del gioco. La tecnologia non marcia più in una direzione collettiva, piuttosto verso il privato, il cui simbolo è il pc. Grazie al computer e alla rete, poi, la realtà vissuta non è più l’unica possibilità esistenziale data all’uomo. Sherry Turkle si dedica, infatti, ad esplorare e a cogliere il segreto dei nuovi ruoli che molti naviganti ricoprono nel mondo virtuale. Cambiano identità, genere sessuale, vivono un sogno, a volte un delirio, ricercano una seconda chance per diventare ciò che non sono potuti essere in una realtà magari impoverita, standardizzata, uniforme, grigia. I soggetti “virtuali” presentati da Turkle arrivano addirittura a percepire come “più reale”, più partecipata, più intimamente ed emotivamente vissuta questa esperienza rispetto al quotidiano scorrere dei giorni degli uomini. Insomma, il monitor del computer ci restituisce un’immagine di noi forse molto differente rispetto a quanto ci aspettassimo.

Ed è grazie a queste premesse che ci è possibile osservare una vera e propria mutazione antropologica nell’uomo del XXI secolo. Lo sdoppiamento e la moltiplicazione dell’io, il World Wide Web con i suoi milioni di mondi e di rimandi, la società dei network sembrano mandare in soffitta i paradigmi dell’umanità moderna, «l’homo faber, l’homo cogitans, il principio di causalità, la razionalità occidentale, il paradigma logico-sequenziale», commenta Ricciardi nella sua introduzione al testo. «La struttura materiale della rete di computer consente di abolire le barriere di spazio-tempo; almeno quelle culturali determinate dalla nostra origine nel tempo: la nascita, il sesso, la religione, il luogo fisico… o almeno il peso di queste catene sembra drasticamente indebolito. Possiamo parlare con tutti, possiamo cercare su tutto senza limiti e senza problemi di costi».

I vecchi confini dell’umano vanno così ridisegnati: il computer diventa parte della nostra intimità nel momento in cui perde i suoi connotati di macchina per produrre e conseguire un risultato, trasformandosi in un medium, scambiando continuamente messaggi tra esseri umani e creando comunicazione intersoggettiva. Il computer ci offre sia nuovi modelli mentali sia un nuovo mezzo sul quale proiettare idee e fantasie. Abbiamo imparato a vivere in mondi virtuali, nei quali, sempre più frequentemente, troviamo altra gente, possiamo incontrare sesso e matrimoni virtuali così come psicoterapeuti telematici. Ma attenzione: questo contesto, ci ricorda Turkle, non è altro se non il racconto e l’esplicitazione di un’erosione dei confini tra il reale e il virtuale, l’animato e l’inanimato, l’io unitario e l’io multiplo che avviene nei comportamenti della vita quotidiana dei nostri contemporanei. E così migliaia di “giocatori” di computer game interattivi, attraverso le loro testiere, creano personaggi che lavorano, spendono soldi, comprano, vendono, consumano, arredano la casa, partecipano a riti e celebrazioni, hanno incontri sessuali casuali, si innamorano, si sposano.

Il libro di Sherry Turkle, insomma, merita di essere considerato una riflessione sul ruolo che la tecnologia sta svolgendo nella nascita di una nuova sensibilità culturale e sociale. La vita sullo schermo non è un testo sul computer, ma sul rapporto che le persone hanno con il computer, su come tali rapporti vadano modificando il modo in cui pensiamo e proviamo emozioni. Viviamo ormai nell’era del “computer soggettivo”, afferma la studiosa americana. Il computer non fa più qualcosa per noi, bensì lo fa a noi. «Ci si rivolge esplicitamente al computer – dice Turkle – per esperienze che si spera risultino capaci di modificare il nostro modo di vedere o di influenzare le nostre vite sociali ed emotive. Quando ci si avventura in giochi di ruolo o mondi di fantasia, oppure quando si raggiunge una comunità per incontrarvi amici e amanti virtuali, non si pensa più al computer come a una “macchina analitica”. Si va scoprendo il computer come macchina per l’intimità».

Nell’epoca della post-modernità, quando molte certezze tradizionali scricchiolano davanti ai nostri occhi ed emergono nuove dimensioni sociali, sessuali, personali, quando il reale tende a trasformarsi in virtuale e viceversa, la sfida antropologica decisiva è forse quella di non far mancare i ponti e legami tra i due fondamentali modi di essere della contemporaneità. «Possiamo vivere in entrambi i luoghi, collegandoli insieme, trasformando sia il fisico sia il virtuale in “realtà”», afferma in conclusione Sherry Turkle. Forse una rassicurazione in extremis, forse un programma di lavoro per sociologi e psicologi, forse un consiglio per ciascuno di noi, uomini e donne del terzo millennio.

Sherry Turkle
La vita sullo schermo
Edizioni Apogeo, 386 pagine, € 18,00



 

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