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24 marzo 2005

Il fenomeno anarchico in Italia

Non vi sono forse idee o movimenti politici che abbiano avuto influenza così significativa pur essendo stati regolarmente misconosciuti o aspramente combattuti come l’anarchismo. Se a partire dagli anni Ottanta il sopraggiunto benessere ha, per certi versi, placato gli animi e le rivendicazioni di coloro che per decenni o forse per secoli sono rimasti ai margini del sistema economico e sociale, spuntando le armi di lotta a coloro che sostenevano una società senza Stato e senza alcun tipo di coercizione, fondata sulla piena libertà degli individui da ogni tipo di vincolo esterno e sulla spontanea messa in comune dei mezzi di produzione, la storia recente occidentale vede nel movimento anarchico un punto di riferimento per nulla trascurabile nel dibattito ideologico ma soprattutto nell’attivismo “rivoluzionario” dei suoi membri. La storia del movimento anarchico in Italia, ricostruita da Alessandro Aruffo per i tipi di Datanews di Roma, illustra inoltre la centralità del nostro Paese per lo stesso movimento anarchico internazionale, soprattutto grazie allo studio attento della condizione economica e sociale di un’Italia nel mezzo del processo di unificazione condotto da uno dei padri del movimento anarchico mondiale, Michail Bakunin.

Il testo di Aruffo, di taglio divulgativo e pertanto di agile lettura, racconta la storia dell’anarchismo italiano nel suo intrecciarsi con il movimento operaio e socialista, interpretandone la diffusione con il desiderio di riscatto umano e sociale, con il sogno delle classi subalterne di cancellare la fame e l’atavica miseria localizzata soprattutto (ma non solo) nelle regioni del Mezzogiorno. Significative sono, in questo senso, le numerose rivolte rurali e contadine nell’Ottocento, alle quali diversi patrioti italiani cercarono di dare risposta, come dimostra la sfortunata impresa di Carlo Pisacane. Numerose saranno le repressioni operate dai governi ottocenteschi della Destra e della Sinistra storica nei confronti dei moti sociali localizzati soprattutto al Sud. Pochi anni dopo l’unità d’Italia viene ucciso il famoso “profeta” dell’Amiata, alla cui rivolta utopistica e a tratti visionaria, porzioni del movimento anarchico hanno cercato invano di imprimere uno sbocco rivoluzionario. Significative, nel testo di Aruffo, le pagine dedicate al leader anarchico Bakunin, che conferisce al movimento una prima sistemazione teorica e organizzativa in forma di associazione segreta rivoluzionaria. Bakunin stesso sceglie l’Italia come sua “patria politica”, in seguito alla corrispondenza (datata 1962-63) con Giuseppe Garibaldi e ad un’attenta osservazione dei moti di liberazione nazionale, soprattutto di stampo democratico (di ispirazione mazziniana, massonica, repubblicana, federalista). L’incontro del rivoluzionario anarchico russo con Garibaldi, avvenuto a Caprera, è preparato da una serie di contatti avuti a Londra con gli esuli Mazzini e Saffi. Lo sguardo di Bakunin è rivolto alle grandi campagne italiane, teatro di un vasto movimento di protesta sociale.

Solo allora il movimento anarchico inizia a misurarsi con il marxismo sui temi nodali dell’autorità, dell’estinzione dello Stato, della violenza, della società comunista: un dibattito nel quale confluiscono anche le culture democratiche di origine risorgimentale. Sono gli anni in cui l’anarchismo si confronta con il sindacalismo rivoluzionario e con i movimenti radicali di riforma della società civile. Aruffo sottolinea inoltre il contributo di riflessione offerto dagli anarchici al pensiero socialista e internazionalista, oltre che alla prassi politica e operativa dei partiti operai, come dimostra il caso di Errico Malatesta. Il movimento anarchico si presenta come «sovversivismo di lunga durata – scrive Aruffo – profondo ispiratore delle avanguardie rivoluzionarie e sollecitatore della mobilitazione di massa nella permanente oscillazione tra spontaneismo e organizzazione; tra violenza individuale e rincorsa alla forma partito». Oscillazioni che derivano, spiega l’autore, dalle difformi condizioni socio-economiche di regioni e città e dalla condizioni storiche complessive dell’Italia. Inevitabili, allora, i rapporti conflittuali con le altre organizzazioni politiche o sindacali.

Con la fine dell’Ottocento la storia anarchica comincia a correre, malgrado le dure repressioni del periodo crispino. Con l’età giolittiana e i primi anni del nuovo secolo il movimento si sposta sulle posizioni del sindacalismo rivoluzionario, proprio quando tutti i sogni anarchici sembrano concretizzarsi con i fatti della “settimana rossa”. Al contrario, il fallimento del tentativo rivoluzionario segna il tramonto degli ideali ottocenteschi e sottolinea i segni di lacerazione e di debolezza nel movimento. Si fronteggiano ancora una volta una linea individualista e antiorganizzatrice e una linea anarco-comunista, che rilancia il problema della riorganizzazione del partito anarchico, prima che la repressione fascista (confino, carcere ed esilio per i principali capi anarchici) dia inizio alla frantumazione del movimento. Ciò non impedisce, comunque, a molti militanti di impegnarsi nella lotta antifascista, che avrebbe dovuto identificarsi, o quanto meno preludere, ad una lotta rivoluzionaria. Ma il movimento sconta le sue eterne divisioni e, con la diminuzione dei suoi membri, vive una sostanziale irrilevanza per i due decenni seguenti la guerra. Solo il Sessantotto studentesco e le contemporanee lotte operaie favoriscono il ritorno in campo del movimento anarchico, riunito nella Federazione anarchica italiana e impegnato sul piano sindacale e nella mobilitazione di massa per tutti gli anni Settanta, termine storico del racconto di Alessandro Aruffo.

Interessante notare come il fenomeno anarchico italiano, nel corso della sua storia, “risalga” a poco a poco tutta l’Italia: partito dal Mezzogiorno si espande verso le regioni centro-settentrionali in seguito al processo di industrializzazione e alla crescita del movimento operaio, con il conseguente aumento della conflittualità tra capitale e lavoro.

In questo lavoro sul movimento anarchico italiano c’è ancora spazio per una breve panoramica, a mo’ di appendice, sull’anarchismo in Russia, in Cina, in Spagna, Paese dove il movimento ebbe effettivamente un ruolo di primo piano, pienamente coinvolto, anche attraverso il suo potente sindacato, nelle drammatiche vicende della guerra civile degli anni Trenta.

Alessandro Aruffo

Breve storia degli anarchici italiani 1870-1970

Edizioni Datanews, 256 pagine, € 12,50



 

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