Speciali in evidenza
Speciale Smau
Speciale ambiente
Speciale scuola
Speciale Auto
Un anno di rincari
Speciale mutui
Voli low cost
Speciale ETF
Studi di settore
Risparmio energetico
Auto & fisco
Navigatori GPS
Musica Mp3
Guida alle facoltà
Come risparmiare
XV Legislatura
shopping 24

Servizi

Il Sole Mobile

Servizi Ricerca

Attualità ed Esteri

ARCHIVIO »

25 giugno 2005

Il giornalismo "puro" di Mario Borsa

Il 28 maggio 1980 veniva ucciso dalle Brigate Rosse Walter Tobagi, giornalista del “Corriere della Sera” e presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Fu freddato con un colpo di pistola in via Salaino, poco dopo essere uscito di casa diretto in via Solferino, storica sede del quotidiano milanese. Aveva solo 33 anni, ma già un’intensa attività culturale, professionale e sindacale alle spalle.
Nell’ambito delle commemorazioni per i 25 anni dalla sua morte, l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia - presieduto da Franco Abruzzo, per anni amico e collaboratore di Tobagi alla “Lombarda” - ha ripubblicato il saggio Libertà di stampa di Mario Borsa, direttore del “Corriere” negli anni 1945-46, alta figura del giornalismo italiano antifascista, particolarmente ammirata e presa a modello dallo stesso Walter Tobagi. Una ristampa, tra l’altro, impreziosita dalla pubblicazione del saggio Mario Borsa giornalista liberale (edito per la prima volta nel 1976 sulla rivista “Problemi dell’informazione”) in cui Tobagi dichiara e motiva, ancora una volta, la propria stima per l’uomo e il professionista Borsa, emarginato e severamente minacciato durante il Ventennio fascista in quanto individuo sinceramente libero e non manovrabile dal regime.
Effettivamente sono numerosi i punti di contatto tra i due giornalisti: pur non essendosi conosciuti per motivi di età, hanno entrambi in comune una carriera precoce, stimata, sofferta, alla quale hanno aggiunto un’intensa militanza nel sindacato di categoria, mostrando sempre una libertà di spirito e di giudizio pari all’avversione per il servilismo e per l’ingerenza della politica nella professione giornalistica. Hanno sempre difeso l’autonomia della stampa e il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente. Espressioni di due diverse generazioni di giornalisti, ma accomunati dagli ideali e da una profonda rettitudine deontologica. Mario Borsa fu maestro di etica professionale, e non si piegò a nessun potere e a nessuna proprietà, pagando di persona per le sue scelte.

«Dite sempre quello che è bene - sono sue parole - anche se non va a genio ai vostri amici, dite sempre quello che è giusto anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchinatevi solo davanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un diritto la libertà è un dovere». Modello di indipendenza dalla politica, Borsa si considerava, come tutti i grandi del giornalismo, unicamente al servizio dei lettori. «Noi - affermava - non andiamo né andremo a destra o a sinistra, andremo avanti per nostro conto, noi non lasceremo mai la compagnia della nostra coscienza». Un’indipendenza, la sua, che però non aveva nulla a che vedere con un rifiuto della politica, ma anzi preludeva ad una maggiore consapevolezza dei cittadini nei confronti delle proprie responsabilità. «Indipendenti - scriveva ancora Borsa - cioè non legati ad un partito non significa essere apolitici. Ci sono crisi nella storia di un popolo in cui ogni cittadino ha l’assoluto dovere di formarsi e di esprimere un’opinione sua». Parole scomode allora, così come scomode erano le parole di Walter Tobagi, giornalista e sindacalista in mezzo ai tumulti degli anni Settanta. «Ho percorso con attenzione la vita di Borsa - testimonia Franco Abruzzo - per dire che c’è un parallelismo tra le battaglie di Borsa del 1924 e quelle combattute da Walter nella seconda parte degli anni Settanta, quando era facile essere sospettati di fascismo se non ci si allineava alle tesi di un fascismo diverso, un fascismo rosso. Chi non si allineava era tacciato di tradimento: la storia sembrava ripetersi».

Nato nel 1870 a Somaglia, nella Bassa Lodigiana, Mario Borsa si avvicina alla politica e al giornalismo già ai tempi del liceo Manzoni di Milano, attraverso il giornale di un centro culturale giovanile, di orientamento radical-democratico, dedicato a Carlo Cattaneo. Dopo il liceo, frequenta gli studi classici, che termina nel 1893. Entra con l’incarico di critico drammatico alla “Perseveranza”, il quotidiano conservatore milanese. Le sue qualità professionali emergono subito anche se Borsa soffre la linea politica del giornale. Per questo accetta con entusiasmo l’offerta del direttore del “Secolo”, Carlo Romussi, che gli propone di trasferirsi a Londra come corrispondente. L’impatto con la realtà inglese sarà determinante per la formazione liberale di Borsa, che nel 1911 torna a Milano come autorevole caporedattore. Durante la prima guerra mondiale viene inviato al fronte, dove scrive anche per giornali inglesi e americani, ma dal 1922, divenuto capo del Governo Benito Mussolini e insediatosi come direttore del “Secolo” il cautissimo Mario Missiroli, Borsa non sarà più posto nelle condizioni di esercitare liberamente la sua attività, dopo venticinque anni di lavoro nello storico foglio della borghesia radical-democratica milanese. Tuttavia non si rassegna ancora all’emarginazione, ma partecipa attivamente ai lavori dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, stendendo anche l’ordine del giorno del Congresso Nazionale di Palermo (1924), che sarà l’ultimo consentito dal regime fino alla sua caduta nel 1943. Dopo essersi dimesso dal “Secolo”, nel 1925 Borsa viene chiamato al “Corriere della Sera”, ma già alla fine dell’anno, estromesso il direttore Luigi Albertini e “fascistizzato” il grande quotidiano milanese, Borsa viene cancellato dagli organi della categoria insieme ad altri centoventi colleghi. Escluso dai giornali italiani, manterrà la corrispondenza per il “Times” di Londra e scriverà di getto proprio Libertà di stampa, manifesto di un’opposizione mai arrendevole al regime, seppur meno visibile, e che gli costerà per due volte il carcere. Sconfitto il fascismo, Borsa dirige per sedici mesi il “Corriere” con un programma repubblicano, democratico e progressista, sempre indipendente. Sarà costretto a dimettersi proprio dopo la battaglia in favore della Repubblica al referendum istituzionale del 1946. Lo farà con una lettera - di grande coerenza morale e professionale – inviata ai fratelli Crespi, proprietari della testata, e oggi ripubblicata a chiusura del volume, che rimane ancor oggi uno straordinario pamphlet sulla libertà di stampa in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Austria, in Russia e negli Stati Uniti, oltre che in Italia. Leggiamo degli illuministi francesi, che nel Settecento si batterono per la libertà di opinione politica, per la pubblicità dei dibattiti parlamentari, per un’amministrazione della giustizia più rispettosa dei diritti dei cittadini. Leggiamo dell’impegno e delle preoccupazioni per la libertà di stampa di Benjamin Constant e di Chateubriand, nella Francia napoleonica e poi ottocentesca.
Ogni pagina del testo gronda vera passione etica, politica e giornalistica. Una passione che ha consentito a Mario Borsa, così come successivamente e in altre circostanze a Walter Tobagi, di non rassegnarsi all’indifferenza, di non ripiegarsi nell’atteggiamento di conformismo e di colpevole distacco che ha consentito la violenta presa di potere della dittatura mussoliniana, soffocatrice per vent’anni delle libertà democratiche fondamentali.

Mario Borsa
Libertà di stampa
Walter Tobagi
Mario Borsa giornalista liberale
Libri Scheiwiller, 167 pagine, € 15,00



 

Suggerimenti

>Info quotazioni

A richiesta, via sms, la quotazione istantanea e in tempo reale del titolo che ti interessa

>Flash news

Scarica il programma gratuito, e ricevi sul tuo desktop le ultimissime notizie di economia e finanza

News