Speciali in evidenza
Speciale Smau
Speciale ambiente
Speciale scuola
Speciale Auto
Un anno di rincari
Speciale mutui
Voli low cost
Speciale ETF
Studi di settore
Risparmio energetico
Auto & fisco
Navigatori GPS
Musica Mp3
Guida alle facoltà
Come risparmiare
XV Legislatura
shopping 24

Servizi

Il Sole Mobile

Servizi Ricerca

Attualità ed Esteri

ARCHIVIO »

2 luglio 2005

Su Barghouti una visione troppo di parte

Nel luglio del 2004 Marwan Barghouti, popolarissimo leader di al-Fatah in Cisgiordania, detenuto nelle carceri israeliane dal 15 aprile 2002, veniva riconosciuto coinvolto in tre episodi terroristici nei quali morirono cinque persone. Il tribunale di Tel Aviv gli assegnava cinque ergastoli, più ulteriori quarant'anni di carcere da scontare.
Barghouti non ha voluto ricorrere in appello contro la sentenza, affermando di non riconoscere la legittimità del processo a suo carico. I giudici, invece, non sono riusciti a provare un suo coinvolgimento diretto in altri 33 attentati, condotti dai militanti di al-Fatah, che hanno provocato decine di morti israeliani.
«È stato comunque dimostrato oltre ogni dubbio - scrivevano nella sentenza - che l'imputato ha preso parte attiva e ha pilotato un'attività omicida il cui scopo era di colpire innocenti nei territori occupati e in Israele, anche mediante attacchi suicidi». I giudici sottolineavano anche che «l'imputato aveva compreso che tali attentati godevano del sostegno del presidente palestinese Yasser Arafat, visto che questi approvava gli stanziamenti necessari per i quadri armati di al-Fatah». Sostegno seccamente smentito dallo stesso Arafat, almeno pubblicamente in più di un’occasione.
Contro la lettura dei fatti condotta dalle autorità giudiziarie israeliane si schierano i giornalisti Paolo Barbieri e Maurizio Musolino nel loro Barghouti. Il Mandela palestinese (con prefazione di Luisa Morgantini, europarlamentare di Rifondazione Comunista) pubblicato dalle edizioni Datanews.
A cominciare dallo stesso titolo, la cui coerenza con la realtà sarebbe tutta da verificare, il libro appare come una smaccata apologia dell’operato politico (e militare) di Barghouti, presentato come un indifeso bersaglio delle ripetute aggressioni di uno Stato totalitario, indifferente al rispetto dei diritti umani, brutalmente occupante e violentatore della terra e della gente palestinese: insomma un nuovo Stato nazista. Barghouti, secondo gli autori, sarebbe un patriota rapito dai suoi carcerieri, un politico privato dei suoi più elementari diritti e condannato alla galera a vita da uno Stato la cui stessa genesi sembra viziata dai peggiori difetti della cultura europea (razzismo e colonialismo). Il testo, che contiene anche l’arringa di difesa dello stesso Barghouti di fronte al tribunale israeliano (ossia le sue accuse allo Stato ebraico) e alcune interviste al leader palestinese di Michele Giorgio de “il manifesto”, insiste particolarmente sulle responsabilità di Israele nell’occupazione dei Territori palestinesi senza nemmeno considerare di striscio gli sforzi effettuati dall’attuale premier Ariel Sharon per smantellare numerosi insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza.
Viene invece sperticatamente lodata la politica “doppia” di Barghouti (che per molti osservatori internazionali fu anche quella dell’ultimo Arafat): trattare con la pistola in mano, ossia cercare di ottenere accordi con Israele ma utilizzando il terrorismo come arma di convinzione supplementare.
Barghouti, va detto, ha sempre negato fermamente il suo coinvolgimento in attentati terroristici contro civili sul suolo israeliano: gli era sufficiente che i palestinesi si battessero armi in pugno contro i bersagli (militari o civili) israeliani che transitassero sul territorio amministrato dall’Anp.
È uno dei più importanti leader della Seconda Intifada, quella che porta alla ribalta della cronaca le Brigate dei martiri di al-Aqsa, e che vede massicciamente impegnate le formazioni islamiche come Hamas e Jihad. Numerosi giovani si fanno esplodere anche nelle principali città israeliane, eppure Barghouti non prende le distanze da queste formazioni, bensì ne auspica una degna rappresentanza popolare, nell’ottica di un processo di rinnovamento, da lui auspicato, di tutta la società e la politica palestinese. Intellettuale laico, pur aperto alla democrazia, alla partecipazione femminile e desideroso di riforme all’interno della stessa Anp (giudicata troppo corrotta e conservatrice al suo interno), ritiene, con pragmatismo estremo, che l’obiettivo di liberare la Palestina dal “tutoraggio” israeliano vada conseguito ad ogni costo.
Impassibile di fronte ai passi compiuti dal governo Sharon, Barghouti non esita ad ammonire lo stesso presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), rappresentante della vecchia guardia “tunisina” della leadership palestinese. Un tempo sostenitore degli Accordi di Oslo, che hanno rappresentato un primo e importante riconoscimento delle strutture politiche dell’autonomia palestinese, Barghouti ha successivamente cambiato posizione, liquidando Oslo come un vicolo cieco per la causa del suo popolo. Fautore, oggi, di una linea intransigente nell’approccio alla questione israelo-palestinese, si manifesta contrario ad ogni mediazione politica che non parta dalla riduzione dei confini israeliani al livello precedente il 1967, alla liberazione di tutti i prigionieri palestinesi detenuti in Israele, al riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale dell’auspicato Stato parallelo e confinante con quello ebraico.
Nel testo, stampato nel maggio del 2005, non un accenno alla politica dell’attuale presidente palestinese Abbas, che tutti si augurano possa contribuire a portare pace e stabilità nell’area. Raramente si percepisce la legittimità dei cittadini israeliani ad una vita sicura entro i propri confini, nelle proprie città, scuole, case, caffè. Un libro, in sintesi, che analizza solamente il punto di vista di alcuni settori del movimento palestinese, che si propone come manifesto per la liberazione di Marwan Barghouti (pubblicizzando la campagna di www.freebarghouti.org), ma che smarrisce l’indispensabile equanimità nell’affrontare questioni così complesse come quelle relative ai rapporti tra lo Stato ebraico e il differenziato mondo che trova il suo centro a Ramallah.

Paolo Barbieri – Maurizio Musolino
Barghouti. Il Mandela palestinese
Edizioni Datanews, 157 pagine, € 13,00


Chi è Marwan Barghouti
Marwan Hassib Hussein Barghouti nasce il 6 Giugno 1959 a Kobar, un villaggio vicino a Ramallah. È membro del Consiglio Legislativo Palestinese - ove fu eletto nel 1996 - e segretario generale di al-Fatah per la Cisgiordania. Barghouti aderisce ad al-Fatah, il movimento fondato da Yasser Arafat all'età di 15 anni. Padre di quattro figli, laureato in storia e scienze politiche all'Università di Birzeit, dove ha anche conseguito un master in relazioni internazionali, nel 1978 viene imprigionato e trattenuto per quasi 5 anni nelle carceri israeliane. È costretto a lasciare la Palestina per la Giordania nel 1987: sono gli anni della Prima Intifada: Barghouti vi svolge il ruolo di ufficiale di collegamento degli uffici dell'Olp ad Amman e Tunisi.
Tornato in Palestina nel 1994, dopo gli accordi di Oslo, si propone come uomo del dialogo con Israele e all'interno dell'Olp. Intraprende allora una lenta e determinata lotta per la democratizzazione di al-Fatah e contro la corruzione: le sue accuse rivolte ai metodi brutali della polizia di Arafat lo fanno distinguere per autonomia di giudizio e coraggio. Anche il movimento delle donne palestinesi lo considera un valido alleato nella lotta per l'emancipazione femminile.

Convinto che il processo di pace di Oslo possa portare a un totale ritiro di Israele dai territori e alla fondazione di uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme, incoraggia stretti rapporti con i leader israeliani favorevoli alla creazione di due stati separati indipendenti e sovrani. La "stagione del dialogo", tuttavia, si conclude nel 1998, quando Barghouti porta a compimento il suo personale processo di identificazione con il diffuso sentimento popolare che vede gli accordi di Oslo come un vicolo cieco per la causa palestinese. Così Marwan si pone alla guida di una rivolta popolare estesa a tutta la Cisgiordania volta a far cessare l'occupazione. Così sintetizza la nuova strategia di lotta: «Abbiamo tentato la strada dell'Intifada per sette anni, senza negoziare; poi abbiamo negoziato per sette anni, senza Intifada. Ora, forse, dobbiamo tentarle entrambe contemporaneamente». Il politico palestinese si trasforma così da fautore del dialogo a carismatico sostenitore della lotta contro l'occupazione. Si oppone ai negoziati, che secondo lui servono solo a prendere tempo per consentire a Israele di appropriarsi della terra palestinese e di compattare e rafforzare l'occupazione.
Accusato di omicidio e condannato a cinque ergastoli dalla giustizia israeliana con una sentenza del luglio 2004, Marwan Barghouti è in carcere dal 15 aprile 2002, dopo essere stato catturato a Ramallah, dall'esercito di Tel Aviv. Nonostante la prigionia Barghouti è rimasto uno dei più popolari leader palestinesi, con una solidissima base di consenso non limitata alla sola Cisgiordania.

di Massimo Donaddio



 

Suggerimenti

>Info quotazioni

A richiesta, via sms, la quotazione istantanea e in tempo reale del titolo che ti interessa

>Flash news

Scarica il programma gratuito, e ricevi sul tuo desktop le ultimissime notizie di economia e finanza

News