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27 maggio 2005

Quanto è difficile «Leggere Lolita a Teheran»

«Quando l’uomo tenta di realizzare il paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile inferno»: parole di Paul Claudel che ci sovvengono, argute e amare, attraversando le pagine di “Leggere Lolita a Teheran”. Perché l’Iran descritto dalla penna sensibile e battagliera - nonostante il dichiarato, naturale pessimismo - di Azar Nafisi, è giardino di sevizie. Paradiso dei paradossi. Ben poco rispettabile inferno nei cui gironi arde e si consuma un inedito peccato capitale: la Libertà. E in nome di un dio senza gioia, intrappolato nelle sue parole devitalizzate e posto a sigillo della Paura - subita e, di conseguenza, imposta - di chi pretende un potere assoluto sulla terra, sfilano, sotto il velo o sotto le bombe, altrettanto inediti peccatori. La bambina dalle unghie troppo lunghe, tagliate nel cortile della scuola sino a fare sanguinare le piccole dita; il bimbo di dieci anni che sveglia i genitori nella notte, terrorizzato dai suoi continui “sogni illegali”; “lacché degli StatiUniti” che osano indossare la cravatta; donne che addentano una mela o leccano un gelato in pubblico, costrette a vestirsi decorosamente anche di notte, perché il loro corpo non sia di scandalo neppure se rinvenuto sotto le macerie di un bombardamento.

E grottesco come un Caronte, così simbolico da sembrare uscito dalle pagine di un romanzo, ecco il censore cieco, responsabile della severa censura cinematografica pur dietro le lenti spesse di una quasi totale cecità.

È l’Iran dei due decenni successivi alla rivoluzione islamica di Khomeini. Sogno tradito di un popolo che, forte della propria identità, ma ossessionato dal mito ambiguo di un’America imperialista che rappresentava al tempo stesso “la terra di Satana e il Paradiso Perduto”, ha permesso, suo malgrado, il paradossale annullamento dei diritti per i quali aveva lottato. E il sogno si è fatto colpa. Sottile ma sempre vigile. Pietra d’inciampo nella legittima ricerca del senso del proprio esistere. O fanatica ostinazione in chi ha brandito un disastroso errore di valutazione per difendere un’illusione di potere e integrità.

Ma è anche l’Iran dei giorni nostri, dove alle concessioni si affianca il sospetto. E quello smarrimento che, con acuta sintesi, l’autrice definisce “il peso della libertà”.

Azar Nafisi, proveniente da un’illustre famiglia che può vantare ben quattordici generazioni di letterati e scienziati, già insegnante in varie università di Teheran, emigrata il 24 giugno del 1997 negli Stati Uniti, dove insegna Letteratura inglese presso la Johns Hopkins University, affida alle pagine conclusive del suo best seller (apparso per la prima volta nel 2003) la sua ricorrente fantasia: “…che alla Carta dei Diritti dell’Uomo venga aggiunta la voce: diritto all’immaginazione.«Perché se la malvagità è la mancanza di curiosità per la vita degli altri - come suggerisce il personaggio di Humbert in “Lolita” di Nabokov- solo la fantasia e l’amore possono restituire l’uomo a se stesso».

E contro l’incapacità di empatia, “peccato originale del regime”, e l’omologazione forzata che rende estranei a se stessi Azar Nafisi ha condotto una battaglia personale. Armata di libri. E di un piccolo esercito di sette studentesse intelligenti e appassionate, riunite ogni giovedì mattina in un seminario clandestino nel soggiorno di casa. Uno “spazio magico” dove la finzione dei romanzi occidentali, letti e analizzati, mette a fuoco la realtà, costretta alla finzione. E, tra pasticcini e intime confessioni, i Personaggi svelano le Persone. Sette giovani donne, simbolo della condizione femminile sotto un regime integralista. Ma, al tempo stesso, traccia di quel tesoro di talenti e intuito che, oltre ogni confine o ideologia, la storia ha troppo spesso nascosto sotto veli di stoffa o di pregiudizi.

Figlie di una generazione che ha conosciuto tutti i privilegi di “un sistema tra i più avanzati al mondo riguardo alla condizione femminile”. Eppure gioventù senza ricordi, il cui diritto alla felicità - più volte ribadito dall’autrice - non conosce parametri su cui misurarsi. In una società che esorta alle più enfatiche manifestazioni di affetto per l’imam, ma condanna all’illegalità l’espressione di amore tra uomo e donna, trasformando l’amore in un sentimento sconosciuto e inutile.

La letteratura, dunque, come antidoto all’incapacità di codificare la trama delle proprie vite. Attraverso gli autori o i personaggi cui sono rispettivamente dedicate le quattro parti in cui è suddivisa l’insolita autobiografia della Nafisi. Lolita di Nabokov, espressione della crudele confisca della vita di un individuo da parte di un altro; James, “fallito coi fiocchi” nella sua ostinazione a scrivere opere incomprese pur di non rinnegare se stesso; le controverse, affascinanti eroine della Austen, capaci di sottrarsi all’aridità del conformismo pur di “raggiungere quell’obiettivo sfuggente che sta al cuore della democrazia: il diritto di scelta”. E il Grande Gatsby, imputato d’eccezione in un indimenticabile processo, con tanto di giudice e avvocati designati tra gli studenti, allestito - contro l’integralismo borioso e monocorde- dalla grintosa Nafisi in un’aula di università.

Definito sul retro di copertina uno dei più toccanti atti d’amore per la letteratura mai professati, il volume della Nafisi definisce con delicato affetto e avvincente linearità la complessa vicenda dell’Uomo, tra felicità e follia.

Con un’inattesa, retrospettiva dichiarazione d’intenti: «..voglio scrivere un libro in cui ringrazio la Repubblica islamica per tutto quello che mi ha insegnato - ad amare Henry James e Jane Austen e il gelato e la libertà».

Azar Nafisi
Leggere Lolita a Teheran
Edizioni Adelphi
pagine 379, euro 18,00

Invia una emailSilvia Giuberti



 

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