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29 aprile 2005

Simic rende omaggio a Joseph Cornell

Se le coincidenze fossero in realtà complici del destino -in una corrispondenza d’intenti talvolta seria ed inquietante, altre volte sorniona e un po’ naif- non potrebbe non incuriosire il fatto che Joseph Cornell, il grande artista americano “che non sapeva disegnare, dipingere o scolpire” ma sapeva mettere l’infinito in scatola, abbia vissuto gran parte della sua vita a New York, in Utopia Parkway. Un toponimo che racchiude in sé il senso del Non Luogo, parente stretto dei sogni, delle illusioni, dell’infinito. Di quella dimensione in cui realtà e finzione accolgono le tonde, esigenti aspirazioni degli uomini alla ricerca del senso della vita.
Cornell(1903-1972), con le sue scatole verniciate diciotto, venti volte, messe a cuocere nel forno perché potessero apparire consumate e nobilitate dal tempo, e riempite di oggetti raccolti presso vecchie librerie, mercatini o rigattieri, riuscì ad incorniciare l’ineffabile. Il non luogo, appunto, in cui la materialità di oggetti consunti svela, nella ricercata armonia dell’immagine, quella bellezza che “è, più o meno, l’improbabile che improvvisamente si avvera”.

Parola di poeta: Charles Simic, nato a Belgrado nel 1938 e considerato uno dei maggiori poeti viventi in lingua inglese. Autore del libro “Il cacciatore di immagini” (apparso per la prima volta nel’92 ed ora riproposto dalla Piccola Biblioteca Adelphi), una raccolta di brevi, straordinari testi dedicati all’artista americano che Simic mai riuscì a incrociare, pur nei comuni percorsi in quella New York considerata da entrambi musa in mattoni e asfalto di un’arte per “la salvezza dell’anima”. Una città che, come il mistero, può custodire dietro l’angolo “rivelazioni impensate”. Nel vuoto composto ed elegante oltre le vetrate di edifici in ristrutturazione, nei negozi fatati dove gli oggetti insignificanti diventano parole, nell’umanità sgangherata o nella poesia di “tre scarpe spaiate all’ingresso di un vicolo scuro”.

Se, dunque, è proprio del poeta riconoscere poesia ovunque, perché “la banalità è miracolosa se vista nel modo giusto”, Simic indica nell’arte del collage, nell’assemblaggio di oggetti di scarto –che solo un occhio fanciullo riesce a convertire in altro, a rinominare, nel vocabolario senza confini della fantasia- la più significativa innovazione artistica del ventesimo secolo. Espressione bizzarra ed enigmatica al tempo stesso di un’arte che, come dichiarò Picasso, non si cerca ma si trova. Colorata di inattese illuminazioni, con un retrogusto di felicità. Per questo Simic non esita a definire icone sacre le scatole di Cornell. Che svelano verità e ossessioni attraverso bambole o carte geografiche, fotografie di dive o ritagli di giornale, vecchie locandine o frammenti di vetro e ferro, finti pappagalli o semplici palline bianche. “Slot machines” dei sogni, che seducono l’osservatore con le infinite combinazioni offerte alla sua immaginazione. Un’intenzione che trova conferma anche nei film di Cornell: collage di spezzoni cinematografici, tra intrecci sfuggenti e dialoghi spezzati. Racconti senza capo né coda in cui l’immagine stessa è Risposta.

Simic compila, in apertura di volume, una breve biografia dell’artista: la vita trascorsa con la madre e un fratello invalido, il percorso artistico –dalla sperimentazione degli anni ’30 ai lavori in serie del dopoguerra che ne consacrarono la fama-, la salda riservatezza di cui si dichiarò, tuttavia, pentito il giorno stesso in cui morì. E poi l’amore, incondizionato, per New York (non viaggiò mai al di fuori della sua area)che rappresentò per lui, cacciatore di immagini, il luogo della solitudine e dell’esplorazione. Cornell come Emily Dickinson: i due artisti “religiosi” e “assolutamente americani” che si chiusero al mondo per svelarlo.

Lo stesso Simic, conquistato dalle potenzialità metafisiche dell’assemblaggio, dichiara nella prefazione di aver costruito i suoi brevi testi con sparsi frammenti di linguaggio. E tra le numerose citazioni dei poeti o degli artisti preferiti di Cornell, tra i brani tratti dagli scritti dell’artista stesso, e la rivisitazione, attraverso le parole, delle sue opere, Simic rende omaggio, a vent’anni dalla morte, all’artista. E, con lui, alla misteriosa necessità della creatività umana. In fondo, bastano poche parole: “Il mondo è bello ma indicibile. Ecco perché abbiamo bisogno dell’arte”.


Charles Simic

“Il cacciatore di immagini”

Piccola Biblioteca Adelphi

pagg.124, euro 10,00



 

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