27 gennaio 2005 |
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I contingenti militari della Coalizione |
Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush nella conferenza stampa del 26 gennaio, la prima del suo secondo mandato, non ha dato spazio al disimpegno dall'Irak, confermando di voler mantenere sul campo il numero di soldati «necessario per completare la loro missione» nel tempo «più breve possibile». Parlando nel giorno più tragico per i militari americani in Irak - 37 morti, di cui 31 nell'incidente (o attentato, ancora non si sa) a un elicottero - Bush ha invitato gli iracheni a partecipare alle elezioni di domenica prossima e «a sfidare i terroristi» in «un momento storico» per il loro Paese.
A dissuadere l'America, non saranno né gli attacchi «dei nemici della libertà», nè tragedie come quella dell'elicottero, anche se - ha riconosciuto il presidente - «ogni volta che perdiamo una vita è un momento triste». Il numero delle perdite militari americane in Irak ha ora superato le 1.400 unità e gennaio è diventato il terzo mese più cruento del conflitto, prima della domenica del voto, che si teme di fuoco. Il premier iracheno «ad interim» Iyad Allawi è al fianco di Bush: sarebbe «futile e pericoloso», ha affermato, stabilire una data per l'uscita dall'Irak degli americani e dei loro alleati, perché
il Paese deve prima darsi forze di sicurezza capaci di sconfiggere la guerriglia.
Negli Stati Uniti, però, la guerra in Irak non è più popolare: secondo i più recenti sondaggi d'opinione, la maggioranza degli americani recenti pensa che non valesse la pena di intervenire in Irak («Washington Post» e Abc, 55%) e che il conflitto sia stato un errore («Usa Today» e Cnn, 52%). La domanda che campeggia sull'ultima copertina di Time (edizione americana) è in sostanza ciò che la gente chiede per il dopo-elezioni: «How soon can we get out» (Quando potremo venirne via?).
Per quanto riguarda il contingente italiano, il ministro della Difesa Antonio Martino ha ribadito che «resteremo per tutto il tempo necessario», ma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha anche detto che, dopo le elezioni, si potrà «cominciare a studiare un exit plan». Berlusconi ha aggiunto di averne già parlato con Bush e con il premier britannico Tony Blair.
Entro i prossimi sei mesi la "coalizione dei volonterosi" perderà intanto i 1.600 uomini del contingente ucraino (il quinto per numero di truppe): concordano infatti sul ritiro sia il presidente uscente Kuchma che il suo successore Yushchenko. Ritiro annunciato da metà marzo anche per i 1.300 militari inviati dall'Olanda, mentre già in febbraio se ne andrà il piccolo contingente portoghese (dislocato nel settore italiano di Nassiriya): fra l'altro, il 21 gennaio, proprio una pattuglia composta da due mezzi blindati portoghesi è stata all'origine dello scontro a fuoco con i miliziani di Al Sadr, che è costato la vita al maresciallo Simone Cola.
Truppe straniere in Irak
(stime di Global Security al 15 gennaio 2005) |
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Stati Uniti | 150.000 |
Gran Bretagna | 8.761 |
Sud Corea | 3.600 |
Italia | 3.085 |
Polonia | 2.500 |
Ucraina | 1.589 |
Olanda | 1.345 |
Romania | 700 |
Giappone | 550 |
Danimarca | 496 |
Bulgaria | 485 |
Australia | 400 |
Più altri 17 Paesi per complessivi 400 uomini | |
Fonte: Global Security, Washington (http://www.globalsecurity.org/index.html) |
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