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La public company e i suoi nemici

L’autore del libro, professore di diritto alla Harvard Law School, parte dalla premessa che quasi sempre la struttura proprietaria della grande impresa è analizzata come un’istituzione puramente economica, fatta di imperativi aziendali, motivi tecnici ed esigenze finanziarie. Altrettanta cura non viene riservata ai fondamenti politici e sociali che rendono possibile la grande impresa e ne plasmano il carattere. Tra i paesi ricchi e democratici, alcuni si sono dotati di un ordinamento che incoraggia la creazione di istituzioni in grado di consolidare la grande public company ad azionariato diffuso; altri non l’hanno fatto. Queste differenze, determinate da vari fattori (politiche sindacali, shareholder value, condizioni di mercato), possono determinare per gran parte l’assetto proprietario delle grandi imprese; sicuramente, prima di avviarsi sulla strada della produzione, una nazione deve conseguire la pace sociale. Questa si è ottenuta nei vari paesi con strumenti diversi, alcuni dei quali sono stati poi incorporati nelle imprese, nei modelli di proprietà e nelle strutture di corporate governance. La politica può condizionare un’impresa sotto vari aspetti: può determinare chi ne è il proprietario, fino a che punto essa può espandersi, come raccoglie il capitale, cosa può produrre in modo redditizio, e così via. La teoria esposta nel libro parte dall’analisi degli Stati Uniti (senza però nel seguito dimenticare l’Europa) per arrivare alla conclusione che c’è stata una potente precondizione politica perché negli Usa la proprietà si disgiungesse dal controllo, perché nascesse e continuasse a prevalere la grande public company ad azionariato diffuso tipicamente americana e perché la proprietà concentrata e familiare infine scomparisse.

Questo “quid” è la mancanza negli Usa di una forte socialdemocrazia (intesa come democrazia sociale). L’assunto (non normativo, avverte Roe) è che dove la socialdemocrazia è forte, la publici company si è dimostrata precaria e senza nerbo; al contrario, dove essa è debole, la diffusione della proprietà della grande impresa ha avuto un grande slancio. Il libro si divide in sette parti. Nella prima, si espone la teoria generale secondo cui la produzione deve essere preceduta dalla pace sociale. La seconda parte illustra la teoria secondo cui esiste un contrasto netto tra socialdemocrazia e impresa ad azionariato diffusa, ipotesi che nella terza parte viene verificata con un’indagine statistica. Nella parte quarta, si parla del rapporto tra credo politico prevalente nella società e corporate governance, relativamente a sette tra le più ricche nazioni del mondo. Mentre nelle prime quattro parti si assume la politica come dato acquisito, analizzandone l’impatto sull’impresa, la parte quinta approfondisce l’indagine esaminando la direzione del nesso di causalità. Nella parte sesta, si analizza la compatibilità tra la teoria politica e la teoria secondo cui le qualità tecniche del diritto societario determinano se potranno nascere mercati mobiliari, se la proprietà verrà distinta dal controllo, se la società per azioni prospererà. Nell’ultima parte si cerca di indagare i motivi per cui una comunità politica democratica non accetta facilmente forti istituzioni a tutela dell’azionista.

Mark J. Roe
La public company e i suoi nemici. Determinanti politiche del governo d’impresa
titolo originale: Political determinants of corporate governance. Political context, corporate impact.
prefazione di Franco Debenedetti
traduzione di Massenzio Taborelli
Il Sole 24 Ore, 2004 pag. 309; euro 25,00
Collana: Mondo economico, 72

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