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La piccola Stalingrado vista da Riccardi

Concordia, Unione ,Vulcano, Vittoria : evocano scenari mitologici i nomi dei quattro stabilimenti di Sesto San Giovanni, la "piccola Stalingrado" in cui si trasferì la famiglia del poeta e manager dell’editoria Antonio Riccardi, originaria di Cattabiano, nell’Appennino parmense. Luoghi dell’acciaio e dell’anima, in quella "precisa geografia poetica" che, in continuità con la raccolta di versi "Il profitto domestico", pubblicata nel ’96, scandisce i quadri della memoria nell’ultima produzione poetica di Riccardi: "Gli impianti del dovere e della guerra".
Un titolo sonoro e maestoso, a rievocare sbuffi e brusii di altiforni per colate in staffa o presse idrauliche per forgiare e imbutire. In uno sfoggio di materia, di polveri e vapori che si trasformano in parola e in poesia.
Riccardi, responsabile degli Oscar Mondadori, collaboratore di diverse riviste e giornali, poeta presente nell’antologia "Il pensiero dominante" di Franco Loi e Davide Rondoni (edita da Garzanti), è considerato una delle voci più originali nell’attuale orizzonte poetico. In una sorta di poema moderno, le sue brevi liriche creano, infatti, un racconto lineare e omogeneo. Che pur in uno stile del tutto personale svela forse l’influenza di un poeta come Bertolucci; che, insieme a Cucchi, Giudici o Sereni, è considerato una delle fonti di ispirazione di Riccardi.
Luoghi della memoria e nostalgia di civiltà perdute. Cattabiano, colline e poderi di una società contadina, sentieri percorsi dall’Alfa del padre, sotto lo sguardo adolescente del poeta. E Sesto San Giovanni, le acciaierie Falk , il Dovere - nobile e crudele - che non risparmia lacrime agli operai che si tuffano nella "bolgia dei vivi". In quella luce del mattino che, al suono della sirena, "limava ogni cosa al dovere / voltando da sotto la città satellite". Fabbriche che forgiano armi, in un perfetto meccanismo che preannuncia le strategie belliche. Fabbriche che "sono l’Italia, sono la Nazione". In nome di una fiducia nell’avvenire e nella produzione come occasione di miglioramento sociale che, sostiene il poeta, l’attuale mondo della tecnologia e della finanza pare aver dimenticato.
Stabilimenti, infine, che cedono spazio a boschi ed erbe matte. Giustificando ricordi di caccia, nel podere di Cattabiano, o leggende popolari, come quella della "ranatoro", mostruosa creatura dal muso felino che si pretendeva di stanare nelle paludi di Sesto San Giovanni.
Una mitologia industriale, dunque, dalle immagini fortemente evocative. Di quel mondo di automi, uomini e animali che svela come "Dio non ha grammatica / e forgia solo primi nomi: / dovere, sacrificio, verità".

Antonio Riccardi
Gli impianti del dovere e della guerra
Edizioni Garzanti, pagg. 91, euro 16.00

Invia una emailSilvia Giuberti



 

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