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I fantasmi di Portopalo

L’Italia è un Paese senza memoria, o quasi. Una frase forse troppo ripetuta, che rischia di diventare un luogo comune. A meno che qualcuno non inviti a ricordare eventi destinati all’oblio scrivendo, come ha fatto Giovanni Maria Bellu, un libro. Oppure, come hanno fatto Renato Sarti e Bebo Storti (con l’aiuto dello stesso Bellu), una compagnia teatrale non decida di portare in scena uno spettacolo che aiuti a non dimenticare.
L’evento di cui parliamo è recente: la notte di Natale del 1996 nel canale di Sicilia circa 300 clandestini di origine pakistana, indiana e tamil muoiono per l’affondamento di una delle tante carrette del mare che attraversano quel tratto del Mediterraneo. Si tratta del più grande naufragio accaduto nel “nostro mare” dalla fine della seconda guerra mondiale, ma la dimensione della tragedia viene come rimossa dai mezzi di comunicazione. In quegli stessi giorni, ci raccontano gli archivi dei giornali, la stampa italiana dedica però lunghi articoli alla scomparsa di un velista (uno solo) durante una regata, mentre la morte dei 300 clandestini viene ridotta a un riquadro sotto il titolo “naufragio fantasma”.

Quasi a voler rendere giustizia a quella “dimenticanza” dei mezzi informativi, che supinamente accettarono le prime versioni ufficiali (all’epoca il primo ministro era Massimo D’Alema, il ministro degli Interni Giorgio Napoletano), Giovanni Maria Bellu, giornalista, inviato del quotidiano la Repubblica, appassionato di misteri italiani, ha dedicato a quel naufragio un libro, “I fantasmi di Portopalo”, appena pubblicato da Mondadori.
Giovanni Maria Bellu, scopriamo nelle prime pagine del libro, capita sulla notizia “negata” per pura routine: il collega che coordina i servizi d'inchiesta gli chiede se vuole occuparsi di una strana storia su “quel naufragio che avvenne nel periodo di Natale”. Bellu accetta, senza troppo entusiasmo e con qualche diffidenza verso la fonte, un giovane pensionato Alitalia che passa le sue estati a Portopalo di Capo Passero, l'angolo più meridionale d’Italia se si esclude Lampedusa. E che in quelle acque, pescando con la rete a strascico, tira su un paio di jeans nei quali c'è un documento d'identità con la foto di un ragazzo che sembra un adulto e che risponde al nome di Anpalagan Ganeshu. Comincia così la ricerca per scoprire cosa sia veramente accaduto in quella notte di Natale del 1996 e perché un fatto tanto drammatico sia passato quasi sotto silenzio. La catastrofe era avvenuta dopo un incontro fra la nave Yiohan, che trasportava più di 400 migranti, e la più piccola
F-174, partita dal porto di Malta con il compito di imbarcare i clandestini e trasportarli fino alle coste della Sicilia. Durante il trasbordo c'era stata una collisione e la nave piccola era colata a picco. In ventinove, aggrappati alle funi lanciate dalla Yiohan riuscirono a salvarsi, tutti gli altri morirono. Ma il peggio, ci racconta Bellu, in un certo senso, accadde dopo. Il luogo del naufragio è fuori dalle acque territoriali italiane. E le autorità italiane si dimostrarono scettiche sulla realtà della tragedia perché dopo settimane non se ne trovavano tracce, né un corpo, né un pezzo di legno, una
stoffa... E così tutto venne dimenticato, fino al ritrovamento della carta d’identità di Anpalagan, il giovane tamil che inseguiva il suo sogno. Aveva vinto una borsa di studio e se l'era giocata sulla roulette del futuro: 6.500 dollari per pagare i trafficanti che dovevano portarlo in Europa.


Giovanni Maria Bellu
I fantasmi di Portopalo
Mondatori, 228 pagine, 14,50 euro

Invia una emailGiulia Crivelli



 

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