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Se la leadership dimentica la passione

Ci sono due modi per affrontare l'ultimo libro di Pier Luigi Celli (Impresa e classi dirigenti): da una parte quello, in fondo banale, di limitarsi a considerarlo una delle tante analisi, tra l'antropologico e il sociologico, sul declino della società italiana, dall'altra quello, certamente più difficile ma intrigante, di prenderlo come un manuale delle giovani marmotte per trovare la strada (e magari anche un pizzico di sogno) per capire come sarà possibile far uscire dalle secche la società italiana.
L'analisi è impietosa, il giudizio tagliente, la prospettiva appare a prima vista desolante: il fallimento della scuola, la decadenza dell'industria, l'avvelenamento della corruzione, il generalismo della leadership. Anche solo questi rapidi flash sembrano illuminare la dimensione delle ombre in una società che appare insoddisfatta del proprio passato e incapace di dare la dimensione del progetto al proprio futuro.
Ma basta leggere tra le righe, alzare lo sguardo alla dimensione dell'operosità, sfruttare gli interstizi della fantasia, per avviare, proprio partendo dalla lucidità dell'analisi, un cammino in cui si possono recuperare prima i valori e poi la speranza. Perché non c'è niente di meglio che mettere in luce i problemi per fare un passo, e nella direzione giusta, per la loro soluzione.
Non perché si offrono delle ricette alla Vanna Marchi: non c'è alchimia che tenga di fronte allo sfarinamento sociale. La società italiana sembra invece aver bisogno come non mai di dosi massicce di omeopatia, di qualcosa che si muova con l'effetto placebo per ridestare gli anticorpi, per risuscitare le emozioni, per ridare visibilità a quei sentimenti schiacciati dalla consuetudine della normalità.
La strada allora è quella di ricostruire lo spazio della maturità alle leadership affinchè siano capaci di passare dalla dimensione del potere a quella della responsabilità e nello stesso tempo saper ritrovare nella dimensione dell'impresa il luogo in cui esaltare il valore e le capacità a 360 gradi della persona. «Persone, non semplicemente dipendenti - afferma Celli. - E in questa direzione chi ha più anima corre».
Ecco allora la provocazione dell'autore, come sottolinea Gad Lerner nell'introduzione, di pensare che le imprese per vivere debbano avere un'anima. Ma la vera provocazione sta nel pensare che l'anima, e quindi la capacità di emozionarsi e di rischiare, di innamorarsi e di sacrificarsi, la debbano ritrovare i leader, i manager, i politici, gli imprenditori. Superando il cinismo degli interessi e recuperando la passione della creatività.
Pier Luigi Celli, «Impresa e classi dirigenti», Editore Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004, pagg. 140, 13,00.

Invia una emailGianfranco Fabi



 

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