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24 novembre 2004

Elserino Piol racconta la storia dell'Olivetti

In un momento in cui dei grandi gruppi italiani si rischia di perdere per sempre le tracce, il libro di Piol, testimone e protagonista di 50 anni di storia dell’industria It (tutta, dunque, visto che il primo computer commerciale data 1951) e per tanti anni dirigente di primo piano della Olivetti, assume un aspetto di drammatica attualità. Il racconto delle vicende personali fa da sfondo alla storia dell’It in Italia, quindi in primis a quella della società di Ivrea, con le sue luci e le sue ombre. "Un’azienda meravigliosa che sembra essere stata distrutta con metodo, e che oggi tanto manca all'Italia”, così Piol nell’introduzione. Il riferimento è alla trasformazione in semplice contenitore finanziario di un’azienda che, è bene ricordarlo, alla fine degli anni Ottanta era il terzo produttore di Pc in Europa e il nono nel mondo. Nel sentire comune, la Olivetti è quella del grande imprenditore Adriano
Olivetti o quella degli ultimi anni quando affogava nell’indifferenza di un paese da sempre restio all’innovazione tecnologica. Una visione un po’ riduttiva, perché nel mezzo c’è un bel pezzo di storia imprenditoriale, meno conosciuta, con momenti di gloria, qualche caduta e la malasorte in momenti delicati, quando per incidente o malattia mancarono alla Olivetti personaggi di valore. Ecco, se proprio si vuole capire perché Piol abbia scritto questa autobiografia un po’ anomala nella letteratura del genere, come fa notare nella prefazione Luciano Gallino (imprenditore nostrano di un settore poco “pubblicato” come l’It), forse le ragioni profonde vanno cercate, oltre che nella voglia legittima di comunicare la propria esperienza, nel tentativo di ri-collocare la vicenda Olivetti all’interno di un quadro più legato ai fatti e meno all’emotività. Come si diceva all’inizio, il libro tratteggia vicende esemplari che fanno capire meglio l’excursus (il dramma?) storico vissuto dai grandi gruppi italiani e da interi settori, It compreso, in balia di una politica industriale “volatile”. La memoria (senza nostalgia) parte dalle prime schede perforate (Piol racconta il suo primo impiego in Olivetti Bull), per proseguire con un profilo visto da vicino di Adriano Olivetti, che diede alla sua azienda un’impronta duratura nel tempo e alcune intuizioni anticipatrici di quella che oggi viene chiamata “new economy”: importanaza dei valori immateriali e del fattore umano, organizzazione piatta, responsabilizzazione sociale dell’azienda, internazionalizzazione e globalità, e così via. Il 1960, è un anno di svolta: la quotazione in Borsa, l’acquisizione di Underwood, l’allargamento dell’offerta alle macchine elettroniche; successi messi in sordina da una carenza di leadership dopo la morte prematura di Adriano Olivetti, avvenuta nel 1958. L’entrata nel campo dell’elettronica fu una lunga marcia di avvicinamento (e di lunghe discussioni) fino a sfociare nella creazione del computer Elea (nome di una città dell’antichità, ma anche acronimo di Elaboratore Elettronico Aritmetico). L’aneddotica è ricca, come il racconto gustoso della vendita del primo Elea 9903 al conte Marzotto. Il libro attraversa poi gli anni della comercializzazione dei primi prodotti, la crisi del 1964 e la vendita della divisione elettronica, il boom dei Pc, gli sfolgoranti anni Ottanta, la At&t, le telecomunicazioni e il venture capital (le ultime avventure di Piol). Sulle pagine i nomi indelebili di personaggi dell’industria e della ricerca italiane, da Carlo De Benedetti a Marisa Bellisario, da Vittorio Cassoni a Ottorino Beltrami, da Pier Giorgio Perotto a Franco Tatò, da Silvio Berlusconi (aveva fatto un pensierino alla Olivetti) a Corrado Passera, a Francesco Caio, a tanti altri, e degli incontri (e qualche scontro) che Piol ha avuto con loro. Ma anche stranieri famosi come Bill Gates e Ken Olsen, Steve Jobs, e altri meno famosi, come Nobuo Mii o Daniel Bricklin. Tutti raccontati con garbo. Alla penultima pagina, Piol, che ha 73 anni, si chiede cosa farà da grande. La risposta non è né il golf, né la fattoria in Maremma a guardare i cavalli correre all’orizzonte, bensì la voglia di essere ancora lì, a partecipare anche con le sue società di venture capital alla prossima ondata di innovazioni, se non altro per seguire da vicino i due figli, tutti e due impegnati, manco a farlo apposta, nel mondo It. All’ultima pagina, la speranza che, finita Olivetti, nascano in Italia imprese con un Dna simile.
Pino Fondati

Elserino Piol
Il sogno di un’impresa
prefazione di Luciano Gallino
Edizioni Il Sole 24 Ore, 2004
pag. 362; euro 25,00

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