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3 novembre 2006

Alla ricerca della letteratura perduta: Antonio Scurati e l’inesperienza di massa

di Silvia Giuberti

“Ci piaccia o non ci piaccia, la cultura di massa siamo noi”: dichiarazione da stordimento sociologico. Una vertigine -che mulinella su teorie, statistiche, dati di fatto ed effetti collaterali- da labirinto di specchi, in cui riflettere e riflettersi non garantisce di trovare l’uscita. Un mondo malato di assenza, in cui le medicine stesse sono in avanzato stato di scadenza. Un mal di massa che ha tecnologicamente modificato l’uomo storico e narrante in “homme imaginaire”. Seduto nel salotto del mondo con un telecomando in mano che “incenerisce le linee di confine tra fittizio e immaginario”. Ai posteri, dunque, l’arduo tentativo di guarigione. Perché, allo stato attuale, l’unica cura è una resistenza tossica: “Lo scrittore, se vuole sopravvivere pur divenendo altro da ciò che era stato in passato, deve continuare a essere il veleno del proprio ambiente sociale, ma oggi il suo ambiente sociale è un ambiente immaginario. La critica della società, dunque, non si può esercitare se non come critica dell’immaginario”. Scrittura terapeutica, alla ricerca del racconto perduto.
Antonio Scurati, ricercatore in Cinema, Fotografia e Televisione presso l’Università di Bergamo -dove coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza- nonché autore di saggi e romanzi e vincitore della XLIII edizione del Premio Campiello con “Il sopravvissuto”, miscela la sua esperienza letteraria e sociologica in un breve saggio-pillola di denuncia e autodenuncia. Ricorrendo a dosi massicce di autorevoli citazioni: Paul Virilio, Lev Manovich, Francesco Casetti, Gianni Canova, Umberto Eco, Franco Moretti, Marc Augé, Edgar Morin, Mario Perniola e altre voci della più disincantata diagnostica massmediologica. Una consequenziale e complice alchimia di Esperienza per “La letteratura dell’inesperienza”, un libro -dal sottotitolo che ha un retrogusto epocale: “Scrivere romanzi al tempo della televisione”- forse non necessario, ma utile e intrigante. Un’ accurata summa di già detto, scritto e teorizzato che svolta in una personalizzazione finale –“a voler essere conseguenti, bisogna metterci la faccia. Anche a costo di rimettercela”- nell’analisi delle strategie adottate nella stesura del romanzo d’esordio “Il rumore sordo della battaglia” (recentemente pubblicato da Bompiani in una nuova versione) per “guastare al lettore il facile piacere di una lettura che lo immergeva in un universo di finzione avvolgente, ma guastarglielo soltanto dopo averglielo procurato”.
La finzione: sigillo di autentificazione della tradizione letteraria occidentale, “il contrario della falsità”, “l’esibizione della letterarietà della letteratura”. Una trincea critica, ammette Scurati, non più difendibile in un mondo in cui l’inesperienza “tende a eliminare ogni soluzione di continuità tra ciò che un tempo erano state l’arte e la vita”. La prestigiosa “nuda vita”. Morta per abuso di immagini. Offerte sul vassoio dell’estetizzazione. Sepolta a “cielo aperto”in un mondo “privo di profondità e orizzonti”, dove spazio, tempo ed eventi non sono più conquista entro una “prospettiva geometrica e antropometrica“, ma rappresentazione di un’assenza. Perché la realtà ridotta a schermo e montaggio non è più il muro che oppone resistenza e crea esperienza. E in una contemporaneità dittatoriale che è negazione dell’umanesimo inteso come riconoscimento di un’eredità -e comunione- tra passato, presente e futuro, “le parole proliferano infeconde rispetto alla generazione di un sapere”.
La massa non è comunità. Neppure nelle gremite stanze della virtualità. Si diverte, non sovverte e ha perso il senso della tragicità. E’ quotidianamente inviata per zapping sui terreni di guerra. Ma il “grande tema sacrificale –“essi muoiono al mio posto”- si attenua sempre, irresponsabilmente, nel “sono gli altri che muoiono e non io”. Anestetica inesperienza, che Scurati non esita a definire come la nuova forma di indigenza. Tesi da stordimento sociologico. Che getta un’ombra di sospetto sulla limpida constatazione che ognuno di noi –a un livello personale, se non proprio globale- ha una realtà quotidiana di gioie o dolori da urtare, oltrepassare e offrire in dote all’umana Possibilità di narrazione e conoscenza. Ma il narratore –insegna Benjamin- “ha bisogno di stagliare la piccola cosa della propria esperienza sullo sfondo del grande racconto del mondo”.
Cercasi mondo. Disperatamente?

“La letteratura dell’inesperienza” di Antonio Scurati
Bompiani pagg. 83 euro 6,20
www.bompiani.rcslibri.it



 

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