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13 settembre 2001: la Fed e al-Qaida
6 giugno 2007 |
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«Tenuto conto delle circostanze degli ultimi giorni, penso che valga la pena, per noi, riesaminare a che punto siamo. Perché i fatti avvengono a un ritmo abbastanza rapido e la situazione sta cambiando: i dati che riguardano le prospettive...». No, non è una riunione normale, quella che sta iniziando. Alan Greenspan inizia il suo intervento d'apertura nel modo consueto, parlando di economia come se non fosse successo nulla o quasi, ma gli Stati Uniti sono in ginocchio: non lontano dalla sede della Federal reserve il Pentagono fuma ancora, e a New York si scava tra le macerie delle due torri. La seduta "informativa" di giovedì 13 settembre 2001, è fuori programma, si svolge per telefono in conference call, ed è la più drammatica, forse, della storia della Banca centrale: l'incertezza domina, l'umore cambia spesso, la spinta ad agire subito entra in conflitto con il desiderio di non sbagliare. I verbali integrali, ora, permettono di ricostruirla. «L'EVENTO» Non un accenno all'attentato, non un pensiero alle vittime: Greenspan inizia la riunione con un'analisi distaccata della situazione economica precedente l'11 settembre e poi aggiunge, gelidamente: «L'evento scioccante di quest'ultima settimana è chiaramente negativo, e lo è nel senso, molto importante, che probabilmente aumenta i premi sul rischio reali per gli investimenti di capitale di lungo termine, per ragioni abbastanza ovvie». «QUALCOSA DI BUONO» Greenspan cerca di essere imparziale, fa persino intravvedere l'idea, pur considerandola poco probabile, che «alla fine da tutto questo potrebbe venire qualcosa di buono», in particolare «uno spostamento significativo nella struttura politica del mondo». «SIAMO TUTTI AMERICANI» Erano i giorni in cui tutti si sentivano americani ma il Banchiere centrale, con un po' di cinismo, accenna alle parole di Churchill sulla democrazia - «la peggior forma di Governo dopo tutte le altre che sono state sperimentate» - e spiega come la solidarietà internazionale possa finire presto: è la fase dell'euforia e, avverte il presidente, passerà. L'umore cambia, Greenspan diventa pessimista: «L'effetto netto di questo tragico evento, in qualunque modo lo si veda, deve essere negativo. Se sarà sufficientemente negativo da creare un significativo potenziale di freno per l'economia non lo sappiamo». Anche perché «quest'evento - Greenspan lo chiama sempre così - viene nel momento meno opportuno»: il mondo non è in forma e gli Stati Uniti sono a pezzi. «Il Governo ha chiuso lo spazio aereo americano e gran parte delle scorte just-in-time sono trasportate per via aerea: il lato negativo del nostro sistema, just-in-time e ad alta tecnologia, è che è chiaramente vulnerabile alle perturbazioni. È raro avere perturbazioni di grandezza sufficiente per avere un impatto, ma ora c'è questa possibilità». «L'HO LETTO SUI GIORNALI» Greenspan ora non nasconde più i suoi timori: «Sento che queste chiusure di impianti...». «Non penso che abbiano annunciato nuove chiusure», lo interrompe un assistente economista della Fed, David Wilcox. «L'ho letto sul giornale», gli risponde candidamente il presidente, ma la situazione, lo rassicura lo staff, è provvisoria. «MERCATI TRABALLANTI» Sarà il segretario ed economista Donald Kohn, che oggi è vicepresidente della Fed, a fare l'esame della situazione: «I sistemi di pagamento nel migliore dei casi stanno procedendo a fatica, scricchiolando. C'è stato un forte rialzo sui mercati dei titoli di Stato e i mercati ora scontano un taglio dei tassi di almeno 50 punti base, e forse di più, entro inizio ottobre». La situazione economica stava peggiorando «prima dell'attacco terroristico di martedì - Kohn sarà l'unico a chiamarlo per quello che è - e ora questo shock sta aggravando tutto». La struttura dei mercati finanziari, aggiunge, «è ancora traballante e migliora solo lentamente». Wall Street è ancora chiusa. «NON LO SO» Capire cosa accadrà è difficile. L'incertezza è davvero grande: «Sapete cosa è successo ai rendimenti delle obbligazioni private? A quelli con rating Baa, per esempio?», chiede Greenspan, che vuol sapere se c'è una fuga dei capitali verso "porti sicuri". «Non lo so», risponde Kohn, desolato. È Vincent Reinhart, un altro economista, che interviene in suo soccorso: «Il mercato, semplicemente, non funziona particolarmente bene, signor presidente». Non ci sono dati affidabili, ma si riesce a capire che non c'è stato il crollo visto nei tassi dei Treasuries, i titoli di Stato. Le Borse però sono inattive. Da New York il governatore Bill McDonough spiega la situazione: a Downtown manca spesso elettricità, i telefoni funzionano poco e la sola Wall Street richiede dal 75% all'83% delle linee telefoniche. «UN CLIMA SURREALE» C'è però la speranza che lunedì 17 tutto possa ripartire. Anche se New York ha paura: i lavori di scavo dei detriti creano spesso enormi rumori, e quando questo accade «molti pensano subito che sta cadendo un altro edificio e iniziano a correre per le strade. In questa situazione nessuno è mai sicuro se la gente è solo traumatizzata e sta reagendo in modo eccessivo o se sta accadendo davvero qualcosa. Viviamo in un clima surreale», aggiunge McDonough. «WALL STREET IN CALO DI 300 PUNTI» A Greenspan però interessa cosa accadrà a Wall Street quando riaprirà. «Dall'episodio sul mercato azionario dell'87 se posso usare questa parola - parla del crollo di Wall Street del 19 ottobre, il lunedì nero - abbiamo sviluppato un indice Dow Jones teorico, sulla base delle quotazioni della notte (quelle sui mercati europei, ndr). È stato prima che avessimo i futures e tutto il resto», dice e passa la parola a Dave Wilcox: «Sottolineo che è un calcolo molto rozzo, ma abbiamo preso le quotazioni in euro e le abbiamo corrette con il calo del dollaro sull'euro. Abbiamo così calcolato che la flessione del Dow Jones sintetico è stata di circa 300 punti. Devo dire che mi ha colpito: è un numero piccolo rispetto a quello che è capitato in tutto il mondo». Un analista londinese, ricorda, ha calcolato la flessione in 600 punti «ma abbiamo controllato due volte, e per noi il numero è 300». «Ne avete uno anche per oggi?», chiede allora Greenspan. «No, non l'ho fatto per oggi, e non ci sono state ieri contrattazioni negli Stati Uniti». «VEDREMO» A qualcuno il calcolo non convince. «Dave, sono Bill Poole. Quanto di tutto questo è l'effetto del cambio, e quanto del prezzo in euro?». «L'effetto del cambio, se ho fatto i calcoli corretti, in effetti ha ridimensionato la flessione del Dow Jones. Questo significa che la flessione in euro del Dow è stata grosso modo qualcosa come il 5%, compensato da un 1,8%, diciamo un 2%, di calo del dollaro, che porta così la flessione del Dow sintetico al 3% in dollari». Greespan, curiosamente, non vuole approfondire: «Lo vedremo lunedì mattina». «Sì, è allora che sapremo davvero, dopo che i mercati avranno la possibilità di far incontrare compratori e venditori per un po'», aggiunge un po' pedante McDonough. «Sì, avremo alcuni numeri veri», conclude Greenspan che cambia argomento e chiede il parere dei colleghi sulla situazione economica. «SEMBRANO TUTTI UN PO' TIMIDI» La risposta è probabilmente un lungo silenzio. I verbali integrali non lo dicono, ma il successivo intervento lo lascia capire. «Beh, signor presidente, sono Bill Poole. Sembra che tutti siano timidi, forse potrei iniziare io». È solo a questo punto che si entra nel vivo della riunione e si affronta il nodo principale: l'incertezza. «LIQUIDITÀ A BADILATE» Poole punta tutto sull'offerta di denaro. «L'iniezione di liquidità sul mercato è chiaramente il bisogno immediato più importante e noi ne stiamo dando a badilate, cosa che credo sia assolutamente appropriata». Sembra scettico, invece su un taglio dei tassi: «Ogni effetto benefico che possa venire da una riduzione dei tassi credo nasca come rassicurazione, come un aspetto psicologico». Non crede insomma a un effetto diretto. «Non dico che escludo in ogni modo una mossa sui tassi; penso che essere pronti ad agire potrebbe essere importante. Il mio istinto, per quello che so, è che un simile aggiustamento non è necessario né richiesto, a questo punto». Non difende però troppo le sue idee, sembra quasi che le abbandoni subito: «Credo che voi ne sappiate di più di quanto possa vedere io qui a Saint Louis. Se sembra consigliabile fare un passo, non escludo un taglio di 50 punti base, anche se dal punto di vista di una rassicurazione, 25 punti base sarebbero forse sufficienti. Naturalmente dico questo con l'intesa che sarebbe facile tagliare altri 25 punti base o subito dopo o nella nostra riunione regolare del 2 ottobre». L'incertezza è grande e Poole non sembra volersi assumere troppe responsabilità: «Sosterrò qualunque decisione dovesse essere presa nelle attuali circostanze». «MENO VACANZE» Greenspan ascolta. È Bob Parry, da San Francisco, che chiede la parola. È pessimista: «Devo ammettere - dice - che, almeno nel breve e nel medio termine non trovo nulla che possa essere positivo». Ha paura per gli effetti «sui viaggi aerei e sulle stesse compagnie, sui progetti di vacanza, e cose del genere». Semplice e immediata, per lui, la reazione: un taglio dei tassi, presto, e non di soli 25 punti base, «qualcosa che sia coerente con quel che sembra riflettersi nei mercati dei futures». «LE VENDITE SONO CROLLATE» Anche Michael Moscow di Chicago, il falco, è pessimista. Da Chicago, dà voce a Main Street, l'economia reale. «La Sear ha riferito che le sue vendite sono calate del 50%, martedì (l'11 settembre, ndr) rispetto allo stesso giorno dell'anno scorso, ma solo del 10% mercoledì e questo li ha sorpresi. D'altra parte uno dei maggiori venditori per corrispondenza, la Land's End, ha detto che le chiamate sono calate del 75% martedì e del 60%». Anche per lui la scelta è semplice, cinquanta punti base: «È una situazione senza precedenti, e il mio istinto direbbe di muoversi il prima possibile». Sono d'accordo anche Gary Stern di Minneapolis («Se emerge, con il senno di poi, guardando alla situazione tra un mese o due che la nostra azione non era necessaria possiamo sempre tornare sui nostri passi») e Thomas Hoenig di Kansas City («Abbiamo iniettato sul mercato un'enorme quantità di liquidità e questo è quello che dovremmo continuare a fare») che pure invita a raccogliere informazioni prima di decidere. «UN TAGLIO, ADESSO». Vuole rompere gli indugi Tony Santomero, di Philadelphia. «Non direi "se dovessimo agire...". Penso che dovremmo agire». Con lui l'attenzione ritorna su Wall Street: «Credo che dovremmo muoverci prima che i mercati aprino, invece di aspettare che mostrino la loro debolezza e poi reagire. La mia sensazione è che 50 punti base sarebbero appropriati». Al Broaddus di Richmond, che ha fama di duro, questa volta non è del tutto d'accordo. «Non abbiamo bisogno di muoverci precipitosamente», dice; ma anche lui vuole 50 punti base. «PRESTO. CON CALMA. SUBITO. NON ORA» Cathy Minehan, di Boston, porta le preoccupazioni del mondo imprenditoriale: l'attenzione si sposta di nuovo su Main Street, le imprese: «La gente non compra, non va nei negozi Il punto è quanto durerà questo comportamento e quale sarà l'effetto su una situazione già debole nel settore manifatturiero». Ha ascoltato gli imprenditori della sua area: «Hanno raccomandato di abbassare i tassi nella nostra riunione, lo hanno fatto perché preoccupati del messaggio che mandiamo. Questo messaggio deve essere di una azione calma, appropriata a misurata, forse la più rapida possibile. Con questo voglio dire di muoverci questa volta e poi avere a disposizione il meeting di ottobre per agire ancora, fissando uno schema stabile piuttosto che cambiare quello in cui già eravamo». Poi Minehan sembra perdersi. «Penso che dovremmo agire se una mossa è necessaria - aggiunge - Non penso che dovremmo necessariamente farlo al più presto, ma sicuramente prima della prossima riunione e forse all'inizio della settimana prossima. Sarei marginalmente in favore di un più piccolo taglio di 25 punti base piuttosto di 50, ma potrei essere d'accordo anche con 50». «LUNEDÌ ALLE NOVE» Greenspan tace. Con Jack Guynn di Atlanta si torna a parlare di Wall Street. Vuole un approccio tranquillo. «Se ci muoviamo ora, soprattutto con un taglio pesante da 50 punti base prima della fine della settimana, e i mercati aprono lunedì e mostrano grande volatilità, potremmo accorgersi di dover fare di più. E potremmo aver sparato tutte le nostre cartucce prima del dovuto. Se dobbiamo far qualcosa, farei una mossa più misurata ora e lascerei a noi stessi un po' di spazio per reagire agli sviluppi». Bob McTeer, di Dallas, è secco, preciso e tranchant. «Siamo in una situazione di emergenza. Penso che 50 punti base sia la misura giusta, e se dovessi scegliere il momento, lo farei alle 9 di lunedì mattina. Una mossa oggi o domani potrebbe vedere il suo impatto dissiparsi nel fine settimana». «CERCANO DI APPARIRE MOLTO FREDDI» McDonough, da New York, non parla delle cose da fare: «Questa è una riunione informativa», spiega. Si concentra sulla credibilità che ha ancora la Fed e sulla necessità di conservarla: «Per alcune persone alla guida delle maggiori istituzioni (come la Sec, ndr), piuttosto traumatizzate anche se cercano di apparire molto fredde, la fiducia che hanno nella Fed è una cosa molto importante», dice. La richiesta di misure straordinarie per iniettare liquidità è stata quindi da lui facilmente elusa: «Sarebbe un'indicazione di una grande, generalizzata debolezza». «GENTE SOFISTICATA» Su questo punto interviene Jerry Jordan, da Cleveland. «Sarebbe difficile immaginare come un problema la disponibilità di liquidità: e per la gente sofisticata del settore finanziario, penso che abbia già avuto un effetto calmante. Penso che qualunque cosa possiamo fare sui tassi dovremmo farlo principalmente avendo in mente di mandare un messaggio a Main Street, se è necessario. Dubito moltissimo che lo sia per Wall Street». «GRAZIE A TUTTI» «Qualcun altro? È stata una riunione molto utile. Guarderemo i dati domani e da lì poi dovremo poi riconsiderare cosa fare. Grazie mille a tutti». Greenspan chiude la riunione quasi all'improvviso, con poche parole. Ha ascoltato, non ha altri commenti da fare. Prenderà la leadership della seduta lunedì, convocata in via straordinaria alle 7.30, prima dell'apertura dei mercati, proporrà da subito un taglio dei tassi, già scesi dal 6,50% di maggio 2000 al 3,50%, di 50 punti base, accompagnato da un'indicazione che lascia intravvederne altri: c'è troppa «paura e incertezza», dice. Non c'è discussione, solo qualche domanda pratica. Tutti sono d'accordo, sembrano ratificare una decisione già discussa, o presa altrove, magari dal solo presidente. Greenspan a questo punto legge il comunicato, che viene votato all'unanimità, poi dà alcune istruzioni sulle dichiarazioni che i Banchieri centrali possono rilasciare: «Eviterei di commentare quello che abbiamo fatto e mi tratterrei dal discutere sulla situazione dell'economia americana», dice. «SAREBBE UNA BUONA NOTIZIA» Greenspan spera ancora di poter tornare indietro dopo un mese o due: «Sarebbe la migliore notizia che si possa immaginare», ma le cose non andranno così. Qualche minuto dopo l'annuncio della decisione riaprono le Borse riaprono. Il Dow Jones, malgrado il taglio dei tassi, perde il 7,1%, lo Standard & Poor's il 4,9%. Continueranno a scendere per tutta la settimana. Poi inizieranno un lento recupero. La Fed, però, dovrà tagliare i tassi di 50 punti base pochi giorni dopo, il 2 ottobre, e poi ancora il 6 novembre e ancora, l 12 dicembre, di 25 punti portandoli all'1,75%. E non sarà finita: il 6 novembre 2002, quasi un anno dopo, scenderanno all'1,25% e il 25 giugno 2003 all'un per cento. |
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