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7 DICEMBRE 2007

Riccardo Sorrentino, 43 anni, lavora al Sole 24 Ore dal '92. Dopo un'esperienza in redazione Finanza, dal '99 è agli Esteri dove si occupa di temi di economia internazionale. Ha seguito per il quotidiano numerosi eventi, compreso il G-7 finanziario di Palermo nel 2001, le conferenze ministeriali della Wto a Cancun (2003) e Hong Kong (2005), molti incontri del G-10 a Basilea e diverse riunioni della Bce a Francoforte. È stato inoltre inviato in Olanda, Stati Uniti, Islanda, Ungheria, Singapore, Indonesia, India, Norvegia, Thailandia e Pakistan. Nell'inverno 2003-2004 e nell'estate 2006 ha collaborato dalla redazione di New York. Vive a Milano con Donatella.
riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com
Ron Paul, il candidato che vuole abolire la Fed
07 dicembre 2007
Attento, Bernanke... C'è una legge per abolire la Federal Reserve che giace al Congresso, e non l'ha presentata un deputato qualunque. Ron Paul non ha solo una lunga storia personale alle spalle, ma è anche un candidato alle primarie per le presidenziali Usa con il partito repubblicano; e oggi è primo nei sondaggi tra i delegati - gli straw polls - nei caucuses di Alabama, California, Georgia, Maryland, Missouri, Nevada, New Hampshire, New Jersey, New York (davanti a Giuliani), North Carolina, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania, Washington e nel seggio per gli stranieri.
L'HR2755...
Il suo disegno di legge, l'HR2755, è molto semplice: «Entro un anno dalla data di approvazione di questa legge, il Board dei governatori della Federal reserve System, e ogni banca della Federal reserve sarà abolita». Alla fine dello stesso periodo, concesso per risolvere il problema dei dipendenti - da licenziare - e degli assets della Banca centrale - da cedere al Tesoro - sarà abrogato il Federal Reserve Act, la legge che regola l'autorità monetaria.
...E LA COSTITUZIONE
Il motivo? La Costituzione americana, innanzitutto, di cui Paul vuole il rispetto assoluto, totale; e la Carta fondamentale (all'articolo uno sezione otto) prevede che sia il Congresso a «coniare moneta e regolarne il valore». Per Paul è un messaggio chiaro. «La moneta di valore reale, l'oro o l'argento, era chiaramente preferita dai Padri Fondatori, come mostrano i loro scritti e la Costituzione. La loro avversione per la cartamoneta nasceva dalla loro esperienza con i Continental (durante la rivoluzione, ndr) e la cartamoneta non convertibile coloniale».
UN CUORE LIBERTARIO
Non è però, per Ron Paul, una semplice questione di legittimità formale. Medico antiabortista, il candidato è anche un pacifista e un libertario - nemico quindi della legislazione di Bush contro il terrorismo - e un liberista, favorevole quindi alla libera vendita della droga. L'abolizione della banca centrale, per lui, è solo un primo passo. «Che sia la Federal reserve, il Congresso o i banchieri (attraverso il moltiplicatore dei depositi, ndr) a controllare il sistema monetario - ha scritto - non fa differenza. Tutti inevitabilmente fanno abusi, ed è per questo che noi abbiamo bisogno di una moneta controllata solo dal popolo. L'unica alternativa, morale, costituzionale ed economicamente produttiva è il gold standard con monete convertibili al 100%, che mette i cittadini al potere».
TRA ROTHBARD E MISES
Qualcuno lo definisce un anarcocapitalista, e il ritratto del caposcuola Murray Rothbard è appeso nel suo ufficio, ma la sua storia e i suoi programmi non confermano questa definizione. È un seguace, comunque, della scuola austriaca che trova in Ludwig von Mises (maestro di Friedrich von Hayek) il suo caposcuola negli Stati Uniti.
UN NO ALLA FIAT MONEY
Ron Paul vuole quindi che sia il mercato a definire i tassi di interesse, e crede che solo l'argento e l'oro - insieme alla moneta d'oro elettronica - possano essere usati come denaro. È nemico quindi della moneta emessa dalle Banche centrali (e dalle banche commerciali attraverso le riserve parziali) senza un sostegno reale.
QUANDO MORÌ IL DOLLARO
Le sue idee potrebbero essere condivise anche da un radicale di sinistra. «Quando Nixon dichiarò che i possessori stranieri di dollari non potevano più scambiarli con l'oro - ha scritto - il gold exchange standard giunse a una miserevole fine. Questa ha reso possibile l'inflazione che ha finanziato la guerra in Vietnam e la Grande società, insieme a massicci cattivi investimenti aziendali. Il peggio, però doveva ancora venire. Il dollaro morì quel 15 agosto 1971, e dopo quella data, non ha un valore indipendente per nessuno. Le nuove regole, con il dollaro che è semplicemente una moneta fiduciaria, furono accompagnate da un'inflazione anche maggiore e da turbolenze economiche, e hanno creato le condizioni per una totale perdita di fiducia nel dollaro».
LA SCUOLA AUSTRIACA
Non sono idee originali. Tutti gli economisti della scuola austriaca hanno un'idea eterodossa dei cicli economici, secondo loro causati da un eccesso di liquidità che altera il valore dei beni lanciando segnali sbagliati agli operatori economici e soprattutto agli imprenditori che fanno investimenti. L'inflazione non è quindi l'aumento generalizzato dei prezzi - l'indice è una media, poco significativa - ma il fatto stesso che troppa moneta sia in circolazione: i prezzi si muovono solo lentamente, un bene dopo l'altro - l'effetto Cantillon - partendo dalle azioni e degli immobili.
INVESTIMENTI SBAGLIATI
La scelta politica di iniettare troppa moneta - rispetto al livello di risparmio del sistema - crea quindi recessioni, perché gli investimenti sono effettuati sulla base di segnali (di prezzo) sbagliati e incoerenti. Se si tenta di evitare le crisi immettendo altra moneta, spiega la scuola, si ha come effetto solo il rinvio della recessione, che però diventa più grave. Prima o poi il disallineamento - per semplificare - tra valori reali e valori monetari - esplode.
ATTRAVERSO OCCHI AUSTRIACI
Poco a suo agio con il linguaggio matematico, incurante della nozione stessa di equilibrio, fortemente individualista (nella tradizione di Carl Menger) e forse eccessivamente liberista, la scuola austriaca per quanto piena di spunti interessanti appare a molti ormai rigida e soprattutto sterile, incapace di proporre qualcosa di nuovo; ma ha avuto qualcosa da dire in questi ultimi anni in cui il mondo è stato inondato di liquidità. Due anni fa, a giugno, l'allora capo economista della Lehman Brothers, John Llewellyn, si richiamò agli insegnamenti della scuola, sia pure in modo "pragmatico, in una sua nota («Through Austrian eyes»). «A marzo - scriveva - abbiamo dato, a una crisi Usa legata al deficit corrente con l'estero tra dodici mesi, una probabilità del 20% che passa al 45% nei prossimi tre anni. Ora bisogna aggiungere le probabilità dei problemi sul mercato immobiliare, e aumentiamo la nostra valutazione di un "incidente" al 20% nei dodici mesi e al 50% entro tre anni». Suona familiare?
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