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30 ottobre 200

Mifid, la rivoluzione promessa alla prova dei mercati
Dalla rigidità delle regole alla duttilità dei principi e degli interventi di vigilanza, secondo un'impostazione tipicamente anglosassone, dalla difformità all'armonizzazione su scala continentale, dalla tutela "assistenziale" alla responsabilizzazione del cliente, dalla nuova gestione del conflitto d'interessi alla maggiore trasparenza sui prezzi dei prodotti finanziari.

Dal 1 novembre nell'Europa a 27 entra in vigore la direttiva Mifid (Markets in Financial Instruments Directive) e niente potrà essere come prima, sia che si osservi la situazione dal punto dei vista dei catastrofisti sia che la si guardi attraverso le lenti di chi tende a minimizzare. La direttiva è stata emanata nel 2004 dalla Ue nell'ambito del Financial Services Action Plan, il piano che ha ridefinito il quadro istituzionale comunitario del mercato dei servizi e delle attività di investimento. In Italia la nuova impostazione è stata recepita con un ritardo di nove mesi, con un decreto legislativo del Consiglio dei ministri lo scorso 30 agosto. E in extremis, a poche ore dal via, sono state pubblicate - dopo una febbrile fase di consultazioni - le nuove norme regolamentari congiunte Banca d'Italia-Consob, che coinvolgono 804 banche, 101 Sim (società d'intermediazione mobiliare), 776 fondi comuni, 51 Sgr (società di gestione del risparmio), 31.051 promotori finanziari.

La promessa, ribadita lunedì dal commissario Ue al mercato interno, Charlie McCreevy, è che i mercati finanziari europei saranno presto più integrati, efficaci, competitivi. Anche perché la Mifid, almeno sulla carta, abolisce la concentrazione degli scambi e incoraggia la nascita di nuove piazze finanziarie, come le Multilateral trading facilities, che potrebbero contendere (diverse grandi banche internazionali sono già in agguato) il monopolio alle Borse più tradizionali.

Sempre sulla carta, quindi, servizi e prodotti potrebbero costare meno, ma non bisogna dimenticare che le banche saranno alle prese con la moltiplicazione degli atti burocratici di gestione e controllo interni e che la cosiddetta compliance (una serie di requisiti richiesti in ordine alla trasparenza ed alle garanzie per gli investitori) potrebbe finire per accrescere scartoffie e costi in misura peraltro ancora imprecisata.

Per i piccoli investitori (tra i quali la Mifid include le imprese più piccole e meno attrezzate in materia di finanza) e i risparmiatori ci sarà anche da confrontarsi con il vocabolario della nuova direttiva. Si passa da "best execution" (ossia l'obbligo, per le imprese d'investimento, di eseguire le negoziazioni per conto del cliente alle migliori condizioni possibili), ad adeguatezza e appropriatezza (una sorta di esame all'investitore sul livello di conoscenza di strumenti e servizi finanziari, sulla propensione al rischio e la situazione economico-reddituale), per citarne solo alcuni.

Di certo, dopo gli scandali finanziari degli ultimi anni - da Cirio a Parmalat, dai Tango-bond ai derivati di Italease - gli italiani sono in fiduciosa attesa. La speranza è che con le regole europee possano arrivare davvero maggiore tutela per tutti e controlli più efficaci. Anche se il cambiamento non sarà istantaneo per tutti: i contratti in essere, per esempio, dovranno essere adeguati entro il 30 giugno 2008 così come i nuovi oneri d'informazione nei confronti della clientela andranno adempiuti al primo contatto utile successivo al 1 novembre. L'insidia è, però, che - fin da subito - l'investitore retail (diverso è per gli investitori professionali e le cosiddette controparti qualificate) ci dovrà anche mettere "del suo", per essere tutelato.

La Mifid è infatti una direttiva di impostazione anglosassone e si impernia sul principio di responsabilità, tanto del risparmiatore che degli operatori finanziari e dei soggetti coinvolti a tutti i livelli (banche, Sim, società di gestione del risparmio, promotori finanziari, analisti). Non prescrive come perseguire gli obiettivi fissati (di efficienza, trasparenza e integrazione delle infrastrutture di negoziazione, al fine di aumentare le garanzie degli investitori), ma si limita a indicare l'obiettivo da raggiungere.

La "profilatura" è un'altra delle concrete novità per i risparmiatori, che non dovranno compilare con leggerezza i complessi questionari che gli verranno dati da firmare: ne va della loro tutela futura in sede di investimento. In concreto, l'investitore pronto ad assumere rischi anche elevati che dichiarerà di conoscere strumenti speculativi come derivati o hedge fund non potrà poi lamentarsi in caso di perdite gravi.

Sarà poi compito delle Autorità di vigilanza (nel dettaglio, Banca d'Italia e Consob) verificare in sede ispettiva le modalità in concreto adottate dall'intermediario per perseguire gli obiettivi fissati dalla Mifid nell'interesse del cliente. Con il paradosso che l'assenza di regole esplicite introduce la non certezza sulla possibile risposta che potrebbe dare l'Autorità in merito alla strategia scelta. Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano come la Mifid potrebbe sconvolgere lo scenario italiano, a tutti i livelli.

Non a caso la novità viene vissuta nel Regno Unito come un'evoluzione dello scenario regolatorio esistente e non certo come una rivoluzione. Discorso opposto per l'Italia, che sarà proiettata in Europa pur con una cultura finanziaria media indietro di anni luce. In tal senso, non è azzardato affermare che la novità più radicale è il «passaporto europeo». Sarà rilasciato dal solo Paese di origine e consentirà di prestare servizi in un tutto il mercato della Ue, restando peraltro soggetti alla vigilanza della nazione di appartenenza. Sarà in grado il risparmiatore italiano di relazionarsi a operatori finanziari "evoluti" come quelli che operano, ad esempio, nel Regno Unito e Olanda? È questo, forse, il maggiore rischio-opportunità del nuovo scenario che sta per essere introdotto nel nostro Paese.
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