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Il passaggio chiave della semplificazione delle regole

di Massimo Mascini

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Sabato 08 Dicembre 2007

Parte tra poche settimane, forse tra pochi giorni, il negoziato tra le confederazioni per la riforma della contrattazione. Le aspettative sono molte, perché sono quasi dieci anni che si vorrebbe mettere mano alla struttura della negoziazione del 1993, ma non é mai stato possibile. I veti incrociati, dalle due parti del tavolo, hanno sempre impedito di muoversi. Anche adesso pesano incomprensioni, timori, volontà non sempre identiche.

Una cosa è sicura, che si rivedrà il numero dei contratti. Anche la Cgil, pur quando non aveva alcuna intenzione di affrontare davvero il nodo dei contratti, sulla semplificazione era sempre disponibile.

E sarebbe stato strano il contrario. Il Cnel ne registra almeno 450 e in alcuni settori pesa una proliferazione insopportabile. Lo spezzettamento è fortissimo. Soprattutto adesso che la parte salariale dei contratti dura appena due anni, in pratica si contratta continuamente, gli uffici dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali sono oberati da un lavoro praticamente inutile. Perché poi i risultati sono risibili: si tratta fino all'ultimo sangue, ma le differenze sostanziali tra i diversi contratti sono molto modeste, quando non inesistenti.

Una razionalizzazione era stata avviata qualche tempo fa. Nacque così il contratto delle telecomunicazioni, molto importante perché dopo la privatizzazione di Telecom le diverse imprese nate per gestire questo fondamentale settore erano senza un punto di riferimento e finivano per applicare un contratto solo perché più conveniente. Fu però una fiammata che si spense subito, perché non si è mai passati a duplicare questa scelta per l'energia, la logistica e tutti gli altri settori sorti o divenuti centrali in questi anni.

Adesso si dovrebbe riprendere quella azione. Da un lato cancellare vecchi piccoli contratti, dall'altro crearne di nuovi. Ma assottigliando il numero dei contratti si può ottenere anche un risultato più importante. Perché se si disegnano aree più ampie, questi contratti saranno necessariamente più regolatori che erogatori. Il loro compito sarà quello di fissare delle norme di base, lasciando l'onere di regolare i particolari al livello decentrato, sia esso aziendale o territoriale, che verrà così fortemente incentivato. Per il contratto nazionale non sarà una perdita di centralità, perché le regole della contrattazione successiva saranno dettate al livello nazionale. Ma gli istituti più importanti per la crescita della produttività verranno decisi sui luoghi di lavoro, con un impatto molto più ampio.

E forse questa sarà l'occasione per affrontare anche il problema della molteplicità di tavoli negoziali per lo stesso settore. Esempio classico, il contratto dei metalmeccanici. C'è quello di Federmeccanica, quello di Confapi, quello delle cooperative, quello degli artigiani. Tranne poche diversità, forse solo per gli artigiani, si tratta di contratti quasi identici, non fosse che perché le controparti sindacali sono sempre le stesse. Giocare sulla diversità dei tavoli è stata una pratica seguita a lungo dal sindacato. Ma in tempi di globalizzazione è controproducente. Forse sarebbe meglio avere due sole delegazioni, una sindacale, l'altra imprenditoriale.

www.job24.ilsole24ore.com

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