| Il caso Bassolino frena la rimonta di Veltroni
di Guido Compagna
La "moral suasion" di Walter Veltroni verso Antonio Bassolino, con l'appello alla sua «coscienza civile» affinchè facesse «la scelta giusta» dopo il rinvio a giudizio per il caso rifiuti di Napoli, non ha sortito gli effetti desiderati. Il Governatore della Campania ha deciso di non dimettersi e restare al suo posto, perchè, se no, la sua sarebbe stata «una diserzione».
Certo un rinvio a giudizio non è una condanna, e ha le sue ragioni anche Massimo D'Alema, quando dice che «è eticamente inacettabile questo scarico di responsabilità su un solo uomo». Ma la sostanza politica non cambia: Bassolino ha deciso (legittimamente) di restare al suo posto, e ne pagano le conseguenze, in termini di consenso elettorale, il Partito democratico e Veltroni. Infatti c'è da chiedersi fino a che punto è credibile il rinnovamento, sul quale si impernia, la brillante campagna elettorale del Pd, se poi l'uomo simbolo del caso della "monnezza" di Napoli resta al suo posto?
Davvero basta candidare come capolista la giovane Pina Picierno e mettere (in ossequio alle regole) Ciriaco De Mita fuori della lista per dimostrare che il rinnovamento non si realizza soltanto a parole? Probabilmente no. La presenza di Bassolino, al di là delle responsabilità penali che dovranno essere accertate in altra sede, pesa ormai come un macigno sulla campagna elettorale di Veltroni. Non è un caso che l'argomento sia stato al centro degli ultimi comizi di Berlusconi e di Fini.
E il prezzo politico-elettorale il Pd non lo paga soltanto in Campania e al Sud, ma soprattutto al Nord: dove l'effetto Bassolino rischia di neutralizzare l'accoglienza più che positiva che nell'opinione pubblica hanno avuto le candidature di Matteo Colaninno e Massimo Calearo. E questo è un problema in più per la rimonta nella quale Veltroni è impegnato e alla quale comincia ormai a credere.
| |