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SPECIALE ELEZIONI 2008
Gli under 35 contro gli eccessi di «casta»
di Carlo Carboni

Famiglia, salute, lavoro e amore è il quartetto dei valori ritenuti fondamentali dai nostri giovani, al quale seguono, a debita distanza, l'amicizia, la religione e il denaro (2° Rapporto LUISS). Valori esistenziali quindi, che mescolano aspetti spirituali e pragmatici. In altre parole, se cinquantenni e sessantenni si mettessero in panchina, sarebbe garantita comunque la continuità dei valori fondamentali. Ma, a differenza dei più anziani, i giovani danno valore a «ciò che pensano» e non solo a «quello che fanno», mescolando ideali, relazionalità affettiva e pragmatismo in un'etica postmaterialista. Ovvero, una leadership di giovani potrebbe cambiare l'Italia con un tuffo nei costumi e nei valori del futuro.

Alcuni studi, tuttavia, evidenziano il distacco dei giovani dalla politica che sembra non riuscire a toccare le corde giuste. Sono i giovani disinteressati o è la politica a disinteressarsi di loro? Sta di fatto che la generazione degli under 35 passa inosservata: si è scritto di «generazione invisibile», qualcuno ha auspicato un nuovo - seppur «mini» - sessantotto che restituisca visibilità ai giovani. Sia dal lato dell'offerta politica che dal lato della domanda giovanile, ci sono montagne di ragioni che motivano questo vuoto pneumatico tra giovani e politica. Certo, l'attuale ceto politico non è di esempio e la sua condotta autoreferenziale non aiuta un giovane ad impostare una vita relazionale nella società «che conta». Perché quella dei giovani conta un po' meno, come dimostra il fatto che continuiamo a caricare sul futuro i «pesi» del passato e del presente.

Il ceto politico della Prima Repubblica di fatto non è stato in grado di declinare l'interesse collettivo con le generazioni future. Ha fatto molto poco per entrare in sintonia con i giovani su tre tematiche decisive ai fini elettorali: il lavoro, perchè i successi occupazionali non sono stati accompagnati dalla flexicurity, da molte parti auspicata e da oltre un decennio applicata con successo in altri stati europei; la sicurezza, che somma i problemi della devianza e dell'illegalità diffusa con il punto cieco della coscienza nazionale rappresentato dalla criminalità mafiosa; la riduzione dei costi della politica, che continua ad annoverare privilegi e avarie. A grandi promesse elettorali sono sempre seguite magre realizzazioni. Di conseguenza, gli under 35 tendono a marcare gli eccessi e i deficit dell'attuale ceto politico: la volontà di voler durare all'infinito, l'indecisionismo, le carenze di merito e di senso etico-legale; una casta cresciuta con cooptazioni senza merito e senza competizione tra i candidati in lista. Non c'è merito nella politica, mentre i giovani ne richiedono l'applicazione (sondaggio Piepoli-24 ore).
Cosa offre in tempi elettorali il ceto politico? Cosa chiedono i giovani? Il ceto politico dallo "sguardo corto", come lo definì un bel libro di Ornaghi e Parsi, oggi si presenta con un ricco carnet di proposte elettorali per i giovani e il mercato del lavoro, la casa, la scuola, l'università ecc.: un vero e proprio menu dei desideri. Ne avessimo realizzato un terzo negli ultimi anni, non staremmo a scrivere del disincanto dei giovani verso la politica. Il ceto politico promette ben «al di là» del possibile in tempi elettorali, ma realizza ben «al di qua» del realizzabile in tempi di governo. Di conseguenza, i giovani disincantati sono numerosi tra gli indecisi e forse, proprio con questa etichetta, interpreteranno il loro ruolo di «minoranza» elettorale. Molti di essi «stanno alla larga» dalla politica, non soffrono di astinenza ideologica come le generazioni più anziane.

Dall'indagine Piepoli, sembra che Veltroni, in questo caso, debba tornare a giocare in campo avversario: dopo il Nord-est, i pro-pro e il quarto capitalismo, c'è anche un'importante "minoranza", i giovani, da convincere. Alla politica essi chiedono più rigore e cose molto concrete come il lavoro, la diminuzione delle trattenute in busta paga, politiche per la casa e per l'istruzione. E chiedono anche maggiore meritocrazia: sarebbe un peccato non prenderli in parola. Si obietterà che in teoria sono tutti d'accordo con il merito, salvo dimenticarlo quando c'è la possibilità di ottenere un posto di lavoro per via clientelare. E se ne scordano anche i nostri studenti che sanno che un maggior peso del merito richiederebbe un impegno scolastico più gravoso per portare a casa buoni risultati. Tutto vero, ma i giovani, come detto, sono anche «quello che pensano» della meritocrazia. I venti-trentenni sono a caccia di autonomia, di opportunità, di reddito (le disuguaglianze di reddito tra generazioni sono marcatamente sfavorevoli a loro). Colpisce perciò quel dato rilevato dall'Istat di un aumento del tasso di disoccupazione giovanile, in controtendenza alla disoccupazione complessiva che scende. Lo lascerei spiegare a qualche politico «coraggioso» che si intenda del tema secolare «giovani e Mezzogiorno».




25 marzo 2008

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