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SPECIALE ELEZIONI 2008
Quelle deboli coperture che Veltroni non ha visto
di Alberto Orioli

Quando i programmi di Pd e Pdl si condensano nella sintesi di una tabella sui costi di ogni singolo "sogno" perdono l'ambiguità pre-elettorale e si trasformano nello specchio delle ambizioni. Il politico che le guarda non riconosce il proprio riflesso e vede deformata la sua immagine. Le tabelle che «Il Sole 24 Ore» ha pubblicato domenica, in mancanza di quelle originali dei due schieramenti (che non esistono), restano uno sforzo sinottico per riassumere i costi "di sistema" delle innovazioni proposte dai partiti. Le precisazioni e i distinguo che hanno suscitato sono un primo risultato verso quella chiarezza che, ad oggi, ancora non c'è.
Walter Veltroni sembra non essersi accorto che il problema della copertura finanziaria del programma riguarda – pur in presenza di cifre differenti – entrambi gli schieramenti principali. Risorse più che parziali rispetto agli obiettivi e modalità incerte nel recupero di fondi sono il vero dato "politico" emerso dalla spunta dei costi. Una gran parte della copertura è affidata ai tagli "di scuola" alla spesa pubblica. Oppure – in entrambi i casi – a una colossale operazione sull'attivo patrimoniale dello Stato (soprattutto immobiliare) che, per la verità, origina da un'idea di Giulio Tremonti.
Una parte del "conto" arriverà alle imprese: toccherà a loro trovare i fondi per alzare i salari a 1.000-1.100 euro netti (come prevederà la legge promessa dal Pd) e si tratta di una dote che può oscillare da 2 a 7 miliardi l'anno. Per la parte relativa ai precari pubblici si può parlare. invece, di un contributo dello Stato di 1-2 miliardi. È ben vero che il salario minimo non è un costo imputabile alla finanza pubblica – come sottolineano Veltroni e Morando – ma è pur sempre un costo di sistema che, lasciato tutto all'impresa, rischia di creare occupazione sommersa o di far uscire aziende dal mercato. Per questo non può non essere considerato – seppure indirettamente – nella partita più generale degli oneri-Paese. Saranno sempre le imprese, poi, a perdere gli attuali trasferimenti da parte dello Stato per compensare il taglio dell'Irap voluto dal Pdl.
Il resto lo farà la lotta all'evasione che per entrambi i contendenti – strano, ma vero – resta uno dei punti chiave per reperire risorse (anche se con modalità completamente diverse).
Quanto al versante spesa c'è la "stretta" sulla pubblica amministrazione: per il Pd si tratta di blocco al 50% del turnover, semplificazione e razionalizzazione dei centri di acquisto; per il Pdl del passaggio massiccio alla digitalizzazione. Viste le (scarse) performance precedenti sull'argomento sono, per entrambi, coperture per lo meno condizionate a riforme ben più incisive del solito. I «democratici» hanno indicato con più puntiglio le scansioni annuali delle riduzioni fiscali: un punto di Irpef l'anno, anche se non si specifica come saranno ridisegnate le aliquote. Il costo stimato è di 6,7-6,8 miliardi ogni 12 mesi, per tre anni. Il Pdl parla più genericamente di applicazione graduale dell'obiettivo di riduzione dell'Irap e indica due step: prima l'abolizione della parte che pesa sulla quota di costo lavoro e perdite (cifrabile in 20 miliardi l'anno), poi l'abolizione totale (33 miliardi). Il Pdl adotta come bussola strategica la gradualità, legata alla condizione di contesto generale e alle compatibilità europee e considera i due obiettivi fiscali come target di legislatura, quindi non necessariamente perseguibili al primo anno.
Dunque, se si allarga lo spettro di indagine dei costi a tutto l'arco della legislatura, si ha un impatto diverso delle due manovre fiscali. Per le misure targate Pd il capitolo Irpef costerà dai 20,1 ai 20,4 miliardi, a cui vanno aggiunti gli impatti finanziari dell'operazione sulla detrazione per lavoro dipendente che vale 3,5 miliardi l'anno. Oltre ai 20-33 miliardi di taglio Irap, il partito di Silvio Berlusconi vi aggiunge anche l'abolizione dell'Ici che ancora sopravvive (circa 2 miliardi l'anno) e l'introduzione del quoziente familiare, le cui simulazioni tentate finora hanno prodotto solo "modelli" a costi oscillanti tra 8-10 miliardi l'anno (anche se il Pdl sostiene che potrebbe costare meno).
Tra gli obiettivi fiscali indicati dal Cavaliere c'è inoltre la detassazione delle tredicesime e degli straordinari (non più delle quattordicesime): diversi analisti confermano che una stima prudente (tarata su 80 ore anno) dell'operazione sul lavoro-extra può valere un paio di miliardi (anche se oggi molto della straordinario è in nero), mentre quella sulle trediscesime ne assorbe oltre 5 all'anno. Anche in questo caso vale il principio di gradualità, dunque è più complicato stabilire con esattezza un costo di legislatura: in ogni caso, anche se si considerasse la misura sugli straordinari autofinanziata a partire dal secondo anno – perchè emergerebbero dal sommerso –, si dovrebbe comunque considerare il costo a regime dell'esenzione sulle tredicesime.
Sempre se osservati nell'arco del quinquennio, anche i costi dell'operazione Iva per cassa – molto apprezzata soprattutto dalle piccole e medie imprese – vengono diluiti fino a rientrare. L'ammanco di cassa del primo anno di applicazione del nuovo regime (stimabile in una ventina di miliardi, due mesi di mancati incassi, avendo come base un gettito annuo di 120 miliardi) rientra dall'anno successivo. A regime, quella dell'Iva diventa una partita di giro con un costo finanziario stimabile in poco più che 100 milioni. L'unico problema sono le direttive europee: l'Italia dovrà impegnarsi in un braccio di ferro con Bruxelles dall'esito non scontato.
Ci sono poi le agevolazioni rigorosamente bipartisan, ma difficilmente quantificabili perché condizionate alla scelta politica sulle priorità: incentivi alle assunzioni, sgravi per le imprese che si quotano, fondi per le energie alternative, bonus sugli affitti, incentivi vari alla ricerca e innovazione. Anche l'abolizione o riduzione dell'Iva sul turismo (che erroneamente nella tabella pubblicata domenica era attribuita solo al Pdl) è un obiettivo bipartisan: dunque i 9 miliardi stimati di mancato gettito al primo anno vanno computati anche a Veltroni. Il Pdl, d'altro canto, la classifica come misura che si autofinanzia perchè favorisce l'emersione del sommerso. Anche in questo caso, però, sarà decisivo l'ok di Bruxelles, per nulla sicuro.
Quanto all'obiettivo strategico di Berlusconi di scendere con la pressione fiscale dal 43,3 sotto il 40% del Pil c'è poco da specificare: l'unità di misura sono i punti di Pil; ognuno vale circa 15-16 miliardi. Ipotizzando un taglio del 3,5% (in punti di Pil), il conto è presto fatto e porta a un totale oscillante tra 52,5 e 56 miliardi. Se invece si parla – come suggeriscono alcuni che, così facendo, vorrebbero ridurre quell'onere della metà – di punti di gettito fiscale (e ognuno vale 7 miliardi) si cambia unità di misura. E si parla d'altro. Piuttosto siamo davvero sicuri che i due programmi sono compatibili con l'obiettivo di pareggio del bilancio nel 2011?





4 marzo

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