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Apre la fabbrica rumena di Nokia

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12 febbraio 2008

Apre la fabbrica rumena di Nokia
di Beda Romano
È stato inaugurato ieri in Romania il nuovo impianto della Nokia che sostituirà quello di Bochum, nella Ruhr, destinato alla chiusura. La società finlandese ha così delocalizzato la produzione verso l'Europa dell'Est, seguendo l'esempio di molte imprese tedesche alla ricerca di un costo del lavoro meno elevato.
Lo stabilimento di Cluj, una cittadina a nord-ovest di Bucarest, dovrebbe essere pienamente operativo tra un anno e dare lavoro a 3.500 persone, pagate, stando ai giornali tedeschi, un decimo dei dipendenti di Bochum. Secondo fonti di stampa, lo stipendio medio lordo a Cluj sarebbe di 800 "lei" al mese (219 euro). La cifra non è stata però confermata da un portavoce di Nokia.
L'impianto produrrà telefoni cellulari per i mercati europeo, mediorientale e africano. Nel frattempo nella Ruhr continuano le proteste contro la decisione di Nokia di abbandonare lo stabilimento tedesco. Quattromila persone armate di candele hanno formato domenica sera una catena umana lunga oltre quattro chilometri.
«Se dobbiamo chiudere, lo faremo urlando», ha spiegato ai giornalisti presenti Susanne Klug, moglie di un dipendente della Nokia. La chiusura dell'impianto di Bochum, prevista a metà 2008, comporterà circa 2.300 esuberi. Il ministro delle Finanze, Peer Steinbrück, ha parlato di «capitalismo carovaniero», accusando la società di sfruttare gli aiuti locali finché questi possono essere utili e poi di trasferire la produzione quando le fa più comodo.
In questo senso, il Nord-Reno Vestfalia ha chiesto mercoledì scorso all'azienda il rimborso di 41 milioni di euro di sussidi. Nokia ha ribattuto di non avere alcuna intenzione di rimborsare gli aiuti pubblici ricevuti tra il 1998 e il 1999. La vicenda giunge proprio mentre il governo federale sta valutando se introdurre salari minimi in alcuni settori dell'economia.
Il timore di molti osservatori è che questa misura possa provocare nuovi casi Nokia in Germania, tanto più se associata a rivendicazioni economiche elevate da parte dei sindacati. «Aumenti salariali troppo generosi – ha avvertito Norbert Walter, economista di Deutsche Bank – porteranno alla chiusura di stabilimenti come quelli di Bochum».
L'Ufficio federale di Statistica ha rivelato di recente che, secondo uno studio, il 18% delle imprese tedesche con almeno 100 dipendenti ha delocalizzato parte delle loro attività tra il 2001 e il 2006 (il 14%), o intende farlo entro fine 2009 (4%). Il processo di delocalizzazione ha avuto un doppio impatto sul mercato del lavoro, provocando in Germania 188mila esuberi ma anche la creazione di 105mila impieghi.

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