No Marty, no party. Questo avrà detto Clooney con quella sua faccia da schiaffi incontrando Sydney Pollack sul set, nella parte di Marty Bach, suo capo e mentore. L'ex dottor Ross, infatti, è Michael Clayton, brillante procuratore trasformato in esattore azzeccagarbugli da un potentissimo studio associato (per chi non sapesse cosa sono, si legga John Grisham per capirne la forza). Si ritroverà, trascinato dalla lucida follia dell'amico Arthur (Tom Wilkinson, perfetto), nello sporco affare della U-North, multinazionale dell'energia e della nutrizione che ha ucciso con un defoliante quasi 500 persone. Clayton- Clooney è nella task force che deve difendere questo colosso colpito da una class action (azione legale collettiva) da tre miliardi di dollari. Il gioco più grande di lui lo coinvolgerà, portandolo fuori, suo malgrado, dalla grigia ambiguità in cui si era rifugiato. Una parabola utile e prevedibile sul Sistema ingiusto e feroce del capitalismo americano, sul modello di Erin Brockovich, il cui regista, Steven Soderbergh, è qui produttore. La regia dell'esordiente Tony Gilroy, già sceneggiatore action- glamour (L'avvocato del diavolo), è diligente, probabilmente sotto la supervisione dell'inscindibile duetto Soderbergh- Clooney. C'è il loro marchio, dall'aspetto politico ai pianosequenza spezzati, "da ufficio". Il film risulta incompleto, sappiamo troppo poco dello scandalo legale e non ci si appassiona tanto, ma il lavoro sui personaggi è molto interessante. George è ambiguo e noir come poche altre volte, Tilda Swinton, legale della corporation e sempre più strega cattiva, è bravissima nell'interpretare la necessità del male. Un gioco di ruoli in cui i personaggi si vendono l'anima e, in qualche caso, se la ricomprano. Miglior film della giornata, ma tirata d'orecchi per il finale catartico: classicamente americano (colpa veniale, persino Francis Ford Coppola non riesce a rinunciarci), ma Il cliente ci ha insegnato che si può evitare senza danni.