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Il vuoto prima della «finestra»

di Angela Manganaro e Enrico Marro

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9 gennaio 2008

C'è il rischio che chi matura i requisiti per la pensione di vecchiaia rimanga per sei mesi senza stipendio e senza assegno. Rischio che diventa beffa se l'azienda decide di licenziare il lavoratore ultrasessantenne appena matura i requisiti. È questo il "buco" temporale aperto dalla legge 247/07, la riforma previdenziale che recepisce il protocollo sul Welfare, sostituisce lo scalone pensato dalla riforma Maroni e, soprattutto, introduce per la prima volta il sistema delle finestre anche per il pensionamento di vecchiaia (come sottolineato sul «Sole 24 Ore» di ieri).
Parlamento, ministero del Lavoro e sindacati sono consapevoli «che il problema esiste» e che bisogna mettere subito una toppa al "buco" tra il momento in cui maturano i requisiti per il ritiro e l'arrivo del primo assegno.

Le regole
Il problema è stato segnalato da diversi lettori attraverso le lettere inviate alle caselle di posta elettronica del «Sole». Tra le mail pubblicate qui in basso, c'è ad esempio, quella di Federica, che compie 60 anni il 17 gennaio e chiede aiuto perché rischia di restare cinque mesi senza stipendio né pensione. Smetterà di lavorare a fine mese (a metà luglio 2007 ha presentato la richiesta dimissioni che scatteranno il 31 gennaio), ma per lei la finestra d'uscita si dovrebbe aprire solo il 1° luglio.
Tiziano Treu, presidente della Commissione Lavoro del Senato, ammette il problema e propone una soluzione: «Visto che siamo di fronte a un prolungamento di fatto dell'età pensionabile, l'unica soluzione è garantire per sei mesi il prolungamento del posto di lavoro. Il principio che bisogna far passare è che si può rimanere al lavoro fino a quando non si percepisce il primo assegno». C'è però da definire come. «Si farà o in sede di Commissione o più probabilmente ci penseranno al ministero del Lavoro – spiega –. Non credo che ci sia bisogno di una disposizione ad hoc, potrebbe bastare una norma interpretativa».
Al ministero del Lavoro stanno studiando le vie d'uscita. «Sappiamo che il problema esiste e si può risolvere in tre modi», spiega Gianni Geroldi, economista e consulente del ministero del Lavoro per la materia previdenziale. «Si può risolvere il problema con un'intepretazione di carattere amministrativo che il ministero ha già chiesto agli enti o con una circolare congiunta ministero del Lavoro-Enti previdenziali. Se questo non fosse ancora sufficiente – conclude – si dovrà varare una norma ad hoc in tempi rapidi alla prima occasione disponibile». Geroldi spiega infine da dove nasce l'inghippo: «Bisogna rendere attuale una disciplina che risale al 1970. Non è tanto un problema di natura previdenziale, ma contrattuale: le pensioni di vecchiaia sono state pensate quando le finestre non esistevano e non c'era il problema di garantire la continuità del lavoro fino al giorno della pensione».

La caccia al rimedio
I sindacati danno per scontato un intervento. «È ovvio che la disciplina lavoristica si deve adeguare a quella pensionistica: il solo modo per farlo è un'intepretazione che assicuri al dipendente di non essere licenziato fino a quando non c'è l'esigibilità dell'assegno della pensione», dice Morena Piccinini, segretaria confederale della Cgil. «Purtoppo il problema esiste», ammette Pier Paolo Baretta, segretario generale aggiunto Cisl. «L'ufficio legislativo del ministero dovrà affrontare il nodo, facendo in modo di allungare il rapporto di lavoro fino al momento di apertura della finestra».
«Tecnicamente oggi esiste un "vuoto d'aria" – conferma Marco Abbatecola della Uil – che si dovrà risolvere in una commissione composta da parti sociali e ministero del Lavoro. Credo che si interverrà allungando il rapporto di lavoro fino all'apertura sulla finestra, sullo schema di quanto accade per le pensioni di anzianità. Non si può pensare di lasciare una persona senza lavoro né pensione».
« Il problema vero è che italianamente si è aspettato troppo: le regole di previdenza devono essere dettate in tempo e la gente deve avere almeno sei mesi di tempo per programmarsi», commenta Alberto Brambilla, sottosegretario al Lavoro nell'ultimo Governo Berlusconi. «Per chi ha lasciato il lavoro e rischia di non avere subito l'assegno pensionistico è evidente che è necessaria una norma di raccordo – continua Brambilla – per garantire le stesse condizioni che erano in vigore al momento delle dimissioni».
Nel frattempo, i termini per le domande di pensionamento nella scuola sono già stati prorogato dal 10 al 21 gennaio.


Primo varco a inizio luglio
Il sistema precedente
Fino al 31 dicembre 2007 chi ha maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ha ottenuto l'assegno dal mese successivo a quello del compimento dell'età. Non c'è stata soluzione di continuità tra l'ultimo stipendio e il primo assegno pensionistico
Le modifiche
I trattamenti di vecchiaia, dal 2008, devono invece rispettare quattro date fisse. Si tratta di una novità, anzi di una penalizzazione, che serve a bilanciare il mantenimento di quattro finestre per chi si colloca a riposo con 40 anni di contributi. Infatti, in base alla riforma Maroni, dal 2008, anche per chi vanta 40 anni di versamenti si sarebbero dovuti allungare i tempi per la decorrenza della pensioni, con il dimezzamento delle finestre per il ritiro
Le finestre di «vecchiaia»
Chi consegue i requisiti nel primo trimestre può andare in pensione dal 1° luglio (1° ottobre nel caso degli autonomi); chi raggiunge le condizioni nel secondo trimestre potrà andare a riposo dal 1° ottobre (1° gennaio dell'anno successivo per gli autonomi); chi matura i presupposti nel terzo trimestre avrà l'assegno dal 1° gennaio dell'anno successivo (1° aprile per gli autonomi). Andrà in pensione dal 1° aprile dell'anno successivo (1° luglio nel caso dei lavoratori autonomi) chi perfeziona i "titoli" per il ritiro nel quarto trimestre
Le eccezioni
Chi ha raggiunto i requisiti per il pensionamento di vecchiaia entro il 2007 mantiene il vecchio regime: niente finestre e assegno dal mese successivo a quello dell'ultimo stipendio
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