Si scoprono fili nuovi per tessere il futuro

di Paolo Bricco

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7 aprile 2008
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Acque, in apparenza, ferme. In superficie, Como pare assomigliare al suo lago: un affluente in entrata, nessun fiume in uscita dalla sua ansa. Mulinelli lenti e una pellicola di agenti patogeni, naturali per carità, che sembrano immobilizzare tutto. Ma, in realtà, non è proprio così. Perché, oggi, qui è in corso il complicato e faticoso tentativo di trovare un nuovo spazio nella geografia delle città e dei mercati, dal momento che è definitivamente archiviata quella perifericità felice e un po' stordente che, fino alla fine degli anni 80, aveva permesso una solitudine benestante e ricca.


Il passato che non c'è più
Nel settore della seta, allora, gli ordini piovevano; alzata la sbarra della dogana, o percorso qualche sentiero di montagna, ecco la Svizzera, ancora terra incognita per il diritto penale internazionale in materia di capitali esteri; c'erano le ville dei milanesi miliardari (in lire) e le mogli dei calciatori di serie A passeggiavano vicino al Duomo. Tutto questo, oggi, in parte è scomparso. O, comunque, non basta più. E Como trasmette segnali di essersene accorta, mentre intravede la prossima sfida, la più complessa: un'innovazione radicale che ne modifichi l'intero codice genetico. Nella sua componente industriale, ma non solo.
Certo, Como non è rimasta annichilita dalla crisi del tessile. Sono in via di ristrutturazione e di riposizionamento le imprese che storicamente hanno avuto la leadership nel distretto, come la Mantero e la Ratti. Ma, soprattutto, è cambiata la struttura profonda del tessuto produttivo. Qui nel 1971, secondo l'Istat, c'erano quasi 32mila addetti; una cifra rimasta stabile nel 1981 e nel 1991. Nel 2001 si è scesi a 24mila. Oggi, nella stima dell'Unione industriali di Como, si è attestati a circa 23mila. Negli anni 90 il calo occupazionale si è concentrato soprattutto nelle stamperie, attività ad alta intensità di lavoro. «Ma già allora - spiega Guido Tettamanti, a 48 anni responsabile del gruppo filiera tessile all'Unione industriali - si verificò un aumento di produttività».
La crisi mondiale dei consumi post-11 settembre e l'imporsi della Cina hanno strappato a Como pezzi interi della sua antica specializzazione: per esempio, i foulard di poliestere, in Occidente fuori moda e comunque sottoposti alla concorrenza asiatica, e i tessuti di acetato viscosa, ormai realizzati soprattutto in Cina. E così, sia nel 2002 che nel 2003, si sono registrate erosioni di fatturato intorno all'8 per cento. Il bilancio 2007 del serico (seta e fibre chimiche continue, ossia acetato, viscosa e poliestere), però, è stato tutt'altro che male: quantitativi costanti e un incremento dei ricavi del 5 per cento. Più valore aggiunto, dunque.
«L'elemento importante - osserva Tettamanti - è che la selezione delle imprese è stata trasversale. Non sono soltanto i converter, quelle aziende che organizzano l'intero ciclo della produzione ma esternalizzano la parte manifatturiera, ad avere mostrato una buona elasticità alla pressione dei mercati. Oppure, le tessiture che in parte sono passate dal tessuto basico alle produzioni più mirate, in prevalenza il tinto in filo. In generale si è registrato un incremento dell'innovazione di servizio che ha consentito perfino alle stamperie performance interessanti».


La svolta nella seta
Dunque, la tenuta comasca di oggi è permeata soprattutto dall'innovazione di servizio. Come nel caso della Seteria Argenti di Tavernerio. Un'azienda, di proprietà della famiglia Viganò, che come attestano documenti custoditi nell'archivio della Camera di commercio pagava le imposte già nel 1881. Questo converter, che fattura circa 25 milioni di euro (l'80% all'estero) e ha una settantina di addetti, sta puntando sulla rapidità di risposta ai grandi clienti. «Una volta - afferma Cristina Viganò, responsabile dell'ufficio stile - impiegavamo fra i 15 e i 20 giorni a preparare un campionario. Adesso, grazie agli investimenti effettuati nei telai a getto d'inchiostro, ci riusciamo in un giorno». E, nel tentativo di spostarsi su segmenti più alti, segnati da un maggiore mix fra la classicità e una tendenza più sbarazzina, si rivela utile anche l'archivio degli anni 60 e 70, con i tessuti e i disegni di allora.
Una ricaduta positiva dell'attuale ristrutturazione industriale è rappresentata dal cambiamento di mentalità. «Fino a vent'anni fa - osserva Giuseppe Sassi, a 46 anni presidente della Camera penale di Como e Lecco, nonché tributarista - nella seta Como operava in regime di quasi monopolio. Allora l'imprenditore medio si rivolgeva ai professionisti esclusivamente in caso di problemi alle dogane nell'importazione della seta. Adesso, invece, per la pressione competitiva dei mercati e per la ricerca di nuove nicchie è costretto a ricorrere sistematicamente a strumenti più sofisticati. Il che ha prodotto un deciso miglioramento della nostra cultura industriale».
Ma, se la tenuta di oggi è nel duplice segno dell'innovazione di servizio e dell'uscita dal provincialismo pasciuto, lo sviluppo di domani passa attraverso l'innovazione più spinta. Una via imboccata dalla Mectex della famiglia Fassi. Una storia esemplare delle vicissitudini di questo sistema economico locale. Nel 2001 l'azienda di Erba specializzata in tute sportive con materiali avanzati, che fattura 23 milioni di euro con 125 dipendenti, decide di attuare un significativo piano di investimenti. Peccato che l'attentato alle Torri Gemelle faccia crollare i consumi e che, al contempo, la Cina entri con forza nella produzione dei pantaloni da sci elasticizzati. I ricavi scendono. Ci sono i debiti contratti. Parte un duro turnaround. Oggi la Mectex, che in quattro anni ha decisamente migliorato la sua posizione finanziaria, ha un fatturato di 12,7 milioni, un margine operativo lordo del 14%, il 4% dei ricavi investiti in ricerca e una struttura di 75 addetti tesa alla creazione di prodotti tessili di ultima generazione. Prodotti sportivi, come i costumi del campione di nuoto Michael Phelps e le tute della Ferrari, ma anche le divise dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine, ignifughe e antitaglio. «Guardiamo con interesse al biomedicale - sottolinea il direttore Aurelio Fassi, 47 anni -, come le fibre per gli stent dei bypass».
La tecnologia nuova risorsa di Como, dunque. Nel cuore del tessile. Ma non solo. Qui si scommette sul laboratorio di nanotecnologie L-Ness, una joint venture fra la Bicocca e il Politecnico di Milano. Cinquanta i ricercatori, la metà stranieri. «Con la crisi del tessile - osserva il fisico Leo Miglio, 50 anni - un dibattito di dieci anni fa ha identificato nella scienza e nella ricerca un'opzione fondamentale. Anche per le ricadute imprenditoriali. E così, da ottobre è in programma un master per tecnopreneurs, che mira a fornire competenze imprenditoriali e manageriali solide a chi ha già una cultura scientifica e tecnologica».

La scommessa dei brevetti
Non a caso, qui è sorta Sviluppo Como, che fra i suoi progetti ha quello di realizzare un polo tecnologico per aziende innovative. E qui opera anche il Centro Volta, che mescola la dimensione internazionale con quella locale, la ricerca pura e l'industria. Da un lato coordina un programma comunitario sulle cause genetiche dell'infarto, in collaborazione con la Agilent Technologies, il King's College di Londra, Stanford e l'ateneo di Parma. Dall'altro, organizza incontri (15 nell'ultimo anno e mezzo) fra imprenditori (300 in tutto, non esclusivamente tessile) e ricercatori (una cinquantina), che attivino collaborazioni fra l'accademia e e la piccola e media industria: una quindicina di brevetti il risultato.
«È giusto - conferma Pietro Ferretto, 35 anni, che ha fondato a Londra il Fera Architecture dopo essere stato a capo dei progetti di Herzog & De Meuron in Spagna e in Messico -, la nostra città deve entrare il più possibile in collegamento con altre realtà, soprattutto straniere. Così, dopo anni di letargo, potrà costruirsi una nuova identità civile, economica ed estetica, che le consenta di migliorare il suo brand, attirando cervelli e attivando nuovi flussi turistici».
Alcune cose, però, si muovono. «Nella nostra psicologia collettiva - sottolinea il direttore Franco Mercalli, 46 anni - spesso prevale un senso di pesantezza e difficoltà. È più una sensazione che una realtà. Anche nella dimensione pubblica, sovente tacciata di inerzia. Faccio un esempio: la Provincia, il Comune e la Camera di commercio ci stanno molto appoggiando nel nostro progetto ambientale per smuovere le acque del lago».
Quelle acque naturalmente ferme. La University of Western Australia sta predisponendo una serie di pompe in grado di spingere gli agenti patogeni verso il basso, dove per l'assenza di luce morirebbero. E chissà che un giorno, metafora di una città che sta cercando di liberarsi dal suo apparente immobilismo, anche qui non si possa finalmente fare il bagno. Fotografie a cura di Carlo Pozzoni (Como)

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