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5 dicembre 2008


Le illusioni del piano europeo contro la crisi
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
ARCHIVIO

BRUXELLES – Secondo il modello usato dalla Banca d'Inghilterra un taglio dei tassi di interesse dell'1% implica, quando gli effetti si saranno completamente materializzati, un incremento del prodotto di 0,3%. Nell'eurozona l'intensità dell'impatto sull'economia sarebbe un po' più debole. Questo se l'economia reagisce all'impulso della politica monetaria il che nelle condizioni attuali è tutto da dimostrare. Secondo i primi calcoli che arrivano dalla Francia il ‘pacchetto' sarkoziano di rilancio dell'economia, pari all'1,3% del prodotto, avrà un impatto sull'attività di 0,3-0,4% di pil. In Spagna gli interventi fiscali e di rilancio della domanda per 11 miliardi (1,3% del pil) avranno un impatto di 0,4% in due anni.

Si tratta di semplici indicazioni ‘a lume di naso, secondo la regola che viene chiamata in inglese ‘rule of thumb', del pollice. Niente di scientifico, ma visto come se la passano i previsori di professione non è tempo sprecato prenderla per un momento in considerazione.

Nel 2009 l'eurozona sarà in recessione (-0,5% indica la Bce). Già oggi, sulla base dei dati del terzo trimestre in quattro paesi europei nei quali la crescita è negativa per due trimestri consecutivi (Germania, Italia, Svezia ed Estonia); altri due già lo sono da aprile e presumibilmente continueranno a esserlo anche fra giugno e settembre e anche oltre (Irlanda e Lettonia); Regno Unito, Ungheria, Spagna e Danimarca sono al primo trimestre di crescita negativa. Se questo è lo scenario c'è da chiedersi se le attese per gli effetti del tanto discusso piano europeo anti-crisi non rischino di andare deluse.

Il fatto che il conclamato coordinamento dell'azione dei vari governi sia soltanto di facciata non gioca certamente a favore di una chiara assunzione di responsabilità dei poteri pubblici. La Francia punta quasi tutto sulle imprese. La Spagna sul settore delle costruzioni e al sostegno dell'occupazione. La Germania è il solo paese che ha un grande margine di manovra nel bilancio, ma non è disposta ad abbandonare l'attitudine non cooperativa nei confronti dei partner europei. Dichiara apertamente di voler approfittare del rilancio degli altri (con un incremento delle esportazioni) senza correre il rischio di aumentare più tardi le imposte per ridurre il proprio deficit. Il Regno Unito ha varato un pacchetto fiscale pari all'1,4% del pil con 12,5 miliardi di sterline in riduzioni fiscali ed è rimasto solo perché l'intervento choc con il taglio generalizzato dell'Iva non ha fatto strada in Europa, nessun altro paese intende praticarlo.

La Commissione europea è sicura che alla fine sommando pacchetti e pacchettini dei vari paesi il risultato sarà superiore all'1,2% del pil previsto dal piano Ue e risponde agli scettici che gli stabilizzatori automatici (misure come sussidi ai disoccupati o la progressività delle imposte sul reddito), i cui effetti si manifestano in assenza di provvedimenti discrezionali, in Europa pesano due volte rispetto a quanto accade negli Stati Uniti. Per cui non ha senso paragonare gli interventi europei pari all'1,5% del pil (1,2% dei vari paesi più 0,3% dai fondi Ue) con il piano annunciato da Barack Obama pari al 6% del pil amercano.

Sarà, ma fatti i conti l'impatto specifico delle misure prese rischia di essere solo un tampone. Ecco perché Bce e autorità Ue si stanno preparando – e stanno preparando le opinioni pubbliche – ai tempi lunghi per raffreddare la concitazione degli annunci che in molte capitali sembrerebbe preludere a rapidi risultati. Spiegando perché la Bce ha tagliato d'un botto di 0,75% i tassi di interesse, Jean-Claude Trichet ha parlato di "audacia". Di fronte alla previsione di un deficit pubblico francese al 4% l'anno prossimo, il commissario europeo Almunia ha subito riconosciuto che "gli stimoli di bilancio devono essere mirati, rapidi e temporanei", là dove temporaneo significa "uno stimolo supplementare per tutta la durata della recessione". Dieci giorni fa il commissario limitava lo sforamento del 3% a un anno e a un livello superiore di "qualche decimale". Si cambia in fretta. Il deficit della Francia (che non corre rischi sulle emissioni di titoli pubblici non avendo un debito pubblico elevato) dal 3% sarà lontanissimo e tutti se ne faranno una ragione. E non è detto che, con l'industria tedesca sprofondata con gli ordini in caduta del 6,1% in ottobre dopo un settembre a -8%, anche a Berlino qualcosa non cambi.

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