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12 SETTEMBRE 2008


Ue: governi in ordine sparso per fronteggiare la stagnazione
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
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Bruxelles, 12 set - C'è una ricetta europea o dell'eurozona per evitare che la stagnazione economica si prolunghi? Una ricetta condivisa, praticata da tutti, che abbia un marchio Ue e non sia la semplice sommatoria di azioni condotte entro i confini nazionali? Sì e no. Esiste nel senso che i governi sono chi più chi meno tutti impegnati da tempo a liberalizzare i mercati del lavoro e dei beni, a ridurre la tassazione specie quella che grava sul lavoro, a creare condizioni favorevoli alle imprese, a evitare una rincorsa prezzi-salari. Non esiste una ricetta comune nel senso che non c'e' un'azione di politica economica concertata con obiettivi in grado di avere un impatto complessivo sull'evoluzione dell'economia dell'intera aerea.
C'erano tante speranze che gli investimenti per grandi progetti infrastrutturali europei avrebbero costituito una leva politico-finanziaria in grado di influenzare anche modestamente il ciclo, ma si e' trattato di una illusione: modernizzare i 'corridoi' commerciali lungo le linee di trasporto orizzontale e verticale dell'Europa e' una operazione enorme i cui effetti positivi si spalmano su molti anni.
Le cose non potrebbero essere diverse essendo il bilancio europeo irrisorio (1% del pil complessivo), avendo respinto tanti anni fa l'idea di un eurobond e continuando a respingerlo perché presupporrebbe l'esistenza di un effettivo governo europeo dell'economia che troppi non vogliono (a cominciare dai britannici per finire ai paesi del nord Europa), avendo mantenuto l'Eurogruppo come organismo informale (e così sarà anche nel caso in cui dovesse entrare in vigore il Trattato di Lisbona).
All'ultimo confronto con gli europarlamentari, Jean Claude Juncker, inossidabile presidente dell'Eurogruppo, ha spiegato chiaramente i termini della questione: "Ogni governo fa ciò che ritiene opportuno rispettando le strategie europee (per esempio non sforando il deficit/pil del 3% e non praticando politiche inflazionistiche - ndr) "però tutti sanno che cosa fa l'altro". Ecco il governo economico minimalista.
Escluso un piano di stimolo all'americana (i governi non credono si stia rischiando la recessione), escluso che la Germania (nonostante la recessione tecnica avrà una crescita annua dell'1,8%) traini gli altri indebitandosi un po' per "altruismo europeista", trionfa la "dottrina Sinatra" (dal titolo della famosa canzone "My way", a modo mio): si procede in ordine sparso.
Grossomodo la mappa della politica economica europea prevede quattro gruppi. Ci sono i paesi che possono permettersi di usare - alcuni a piene mani - il bilancio per fronteggiare il calo del prodotto perché avevano messo a posto le finanze pubbliche da tempo o sono addirittura in surplus: Spagna, Irlanda, i paesi baltici, in misura minore Austria e Svezia. Regno Unito, Portogallo e Ungheria usano il bilancio pur avendo le finanze pubbliche già a rischio. Francia e Italia sono prossimi al 3%, vorrebbero usare il bilancio piu' di quanto gli occhiuti controlli di Bruxelles permettono, ma non possono e mordono il freno. Infine il gruppo degli ortodossi: Germania, che malgrado un surplus di 0,5% del pil l'anno scorso rinvia un nuovo taglio delle imposte, e in qualche misura il Benelux.
A questo punto ai governi non resta la speranza che la Bce non esageri con i tassi e che nelle sue decisioni "integri sempre di più l'effetto della politica monetaria sulla crescita" specie se l'inflazione e' in calo. Detto da un semiortodosso come il belga Didier Reynders l'argomento ha una sua importanza.
Qualcosa, forse, può arrivare dalla Banca europea degli investimenti, il braccio finanziario della Ue, che potrebbe fare di piu' per fare uscire dal letargo l'economia. È in questo contesto che nasce l'idea di Tremonti di anticipare quanto stabilito dal Trattato europeo oggi congelato e permettere alla Bei di acquisire partecipazioni nel capitale delle imprese. E di creare un "fondo sovranazionale" a 27 o, più realisticamente, sostenuto dalle Casse depositi e prestiti italiana, francese, tedesca e spagnola per interventi nelle infrastrutture e nell'energia. Il dibattito è aperto ufficialmente, ma per chiuderlo, dicono a Bruxelles, ci vorranno sei-nove mesi. Troppo tardi per cambiare il brutto ciclo dell'economia.


Antonio Pollio Salimbeni, esperto di economia internazionale, dal 2002 è corrispondente a Bruxelles per Il Sole 24 Ore Radiocor. Già inviato e corrispondente a Washington per l'Unità, ha vinto i premi giornalistici Saint Vincent 1997 e Lingotto 1999. Ha pubblicato "Il drago, Hong Kong, la Cina e l'Occidente alla vigilia del nuovo millennio" (con L.Tamburrino, Donzelli 1997), "Il grande mercato. Realtà e miti della globalizzazione" (Bruno Mondadori1999), "Lo sviluppo insostenibile" (con P.Greco, BrunoMondadori 2003).

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