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13 marzo 2009


Crisi: ora tutti i paesi cercano di sfruttare i 'pacchetti' degli altri
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
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Bruxelles, 13 mar - Negli ultimi giorni non e' emersa soltanto una differenza, e che differenza, tra l'amministrazione americana e l'Unione europea sulla priorita' del momento su scala globale, e' anche scattata la corsa tra paesi europei a sfruttare l'erba del vicino, che notoriamente e' piu' verde.
Andiamo per ordine. Gli Stati Uniti hanno chiesto esplicitamente all'Europa (ma anche a Cina e Giappone) di aumentare gli sforzi per sostenere la domanda interna e cosi' dare anima e sangue al commercio internazionale (innanzitutto al proprio). In previsione della riunione dei capi di stato e di governo del G20 all'inizio di aprile a Londra, ciascuno affila le armi che ha. Barak Obama ha addirittura rovesciato il paradigma che vede gli Stati Uniti al primo posto nel banco degli accusati per la crisi finanziaria affermando che adesso la crisi e' molto piu' dura in Europa, dunque tocca all'Europa fare di piu' per sostenere la domanda.
L'Unione europea respinge la strategia dell'uno-due, prima il sostegno alla ripresa poi le nuove regole di controllo e supervisione della finanza internazionale e non e' disposta - almeno per ora - a varare nuovi 'pacchetti' fiscali. Con i tempi che corrono sui mercati dei bond, con l'allargarsi degli spread dei titoli pubblici nelle emissioni dei paesi piu' vulnerabili (Irlanda e Grecia, innanzitutto), con l'accavallarsi delle richieste di finanziamento al mercato con una sempre maggiore offerta di titoli rispetto a quelli in scadenza, non c'e' spazio per lasciar filare i deficit verso le due cifre.
Nel merito le cifre non danno poi cosi' tanto ragione agli Usa. Patrick Artus, direttore della ricerca a Natixis, ha misurato la dimensione degli stimoli fiscali da una parte e dall'altra dell'Atlantico tenendo conto della riduzione dei tassi di interesse (5% negli Usa, 2,75% nell'eurozona), dell'aumento del deficit pubblico (11 punti di pil tra il 2007 e il 2009 e 3,5 punti) in modo da tenere conto anche degli 'stabilizzatori automatici' (spese che automaticamente aumentano al variare del ciclo come le indennita' di disoccupazione). La conclusione e' che la taglia degli interventi negli Usa e' grossomodo il triplo di quella nell'eurozona, pero' bisogna tenere presente che al di la' dell'Atlantico lo choc e' piu' forte. Tenendo conto delle perdite contabili delle banche, del calo delle esportazioni e del debito delle famiglie, lo choc americano puo' essere valutato, dice Natixis, tre volte piu' intenso di quello dell'eurozona.
Stando ai calcoli del Fondo monetario internazionale nel 2009 la Germania spende per gli interventi anti-crisi l'equivalente dell'1,5% del pil, nel 2010 un altro 2%. Gli Usa prevedono misure per il 2% e 1,8% rispettivamente. In Germania gli stabilizzatori automatici pesano per l'1,7% quest'anno, negli Usa per l'1,5%. Risultato: quest'anno la Germania spende l'equivalente del 3,2% del pil, gli Usa del 3,5%. La distanza non e' poi cosi' grande.
La polemica Usa-Ue riflette un problema vero: quanto piu' un'economia e' aperta tanto piu' ne beneficiano i paesi con cui si hanno legami commerciali, i paesi vicini. Vale su scala globale come vale in Europa. Tre mesi fa era mezza Europa a chiedere alla Germania quanto oggi chiedono gli americani alll'Europa. La cancelliera Angela Merkel rifiuto' per settimane salvo poi ricredersi e varare un secondo pacchetto di stimoli fiscali.
Imparata la lezione, ora la Germania ha deciso di giocare d'anticipo. Il ministero dell'economia ha messo al lavoro l'organismo pubblico che si occupa del commercio e degli investimenti con l'obiettivo di sfruttare al massimo le opportunita' per le imprese tedesche offerte dai piani di rilancio degli altri paesi, in tutto una sessantina. A questo punto tornano utilissime le regole del mercato unico che vietano le discriminazioni nelle gare pubbliche d'appalto sulla base della nazionalita'. In Europa si va dal ponte sullo stretto di Messina ai mille progetti di investimento in Francia alla terza pista e al sesto terminale all'aerporto londinese a Heathrow ai lavori per i Giochi Olimpici a Londra nel 2012 alle strade da ricostruire all'Est. Negli Usa si guarda agli investimenti ferroviari, in Cina alle metropolitane, in Cina alle reti energetiche. Una strategia analoga viene definita in Francia. Ci sono tutti gli ingredienti perche' le polemiche sul
protezionismo continuino.

13 marzo 2009
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