di Antonio Pollio Salimbeni

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Crisi: attrezzarsi ai tempi lunghi seguendo il modello svedese
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
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BRUXELLES - La ripresa sara' lenta e debole, annuncia il Fondo monetario internazionale. Per gli Stati Uniti e per l'Europa come per gli altri 15 paesi Ocse (su 21) che si trovano attualmente in recessione. Che l'esperienza storica mostri come almeno le economie del G7 abbiano sempre risposto in modo piu' aggressivo al ribasso dei tassi di interesse in fase recessiva e all'accavallarsi di programmi intensi di rilancio a mezzo di indebitamento pubblico, non cambia molto le cose. La polemica contro l'Europa che di settimana in settimana conferma di non prevedere nuovi interventi di bilancio a sostegno dell'economia continua anche se i toni sono meno aspri di qualche settimana fa. Definitivamente convertito alla logica dell'intervento pubblico nell'emergenza (quanto si sentiva il bisogno di impostazioni meno dogmatiche dieci o vent'anni fa), il Fondo monetario si limita questa volta a indicare che i soli a poter interrompere la spirale negativa tra economia reale e condizioni finanziarie sono i governi, diventati "spenditori di ultima istanza".

L'ancora dell'economia globale. Nel rapporto economico di primavera gli economisti di Washington fanno per la prima volta, pero', una ammissione interessante. Tra le righe ammettono che gli europei in fondo non hanno tutti i torti a essere prudenti. Indicano infatti che la strategia del governo spenditore di ultima istanza nei paesi con debito pubblico elevato potrebbe non funzionare. L'analisi Fmi conclude che nei paesi con debito superiore al 60% del pil potrebbero non godere affatto dei benefici delle manovre di bilancio anti-cicliche. Motivo: le famiglie sono spinte a ridurre i consumi anticipando futuri incrementi della tassazione per far fronte al maggiore indebitamento. Sono gli stessi argomenti usati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Nessuno tra i grandi paesi europei ha un debito pubblico inferiore a quel livello: a parte l'Italia che supera il 100% del pil, stanno abbondantemente sopra il 60% Germania e Francia (sta sotto la Spagna). Molti tra i paesi medi e piccoli si trovano in una situazione simile.

Cio' non spinge naturalmente il Fondo monetario a rimangiarsi le accuse di egoismo lanciate all'Europa (in particolare alla Germania), che sarebbe insensibile alla necessita' di agire almeno da mezza locomotiva della domanda globale. E' un fatto che nelle recessioni associate a crisi finanziarie del passato a un 1% di aumento dei consumi pubblici si e' associato, scrive il Fmi, un aumento della probabilita' di uscita dalla recessione del 16%. Cio' e' tanto piu' valido oggi con una crisi economica perfettamente sincronizzata ed estesa su scala globale. Mentre ci si lambicca il cervello cercando di captare i nuovi segnali di ripresina (anche le targhette cucite all'interno dei maglioni possono tornare utili), calcolando quanto tempo impiegheranno i tagli dei tassi di interesse e le decisioni di spesa pubblica a trasferirsi completamente nell'economia reale (da un anno a un anno e mezzo nel primo caso e anche un paio d'anni nel secondo, secondo le analisi di Natixis), ci si comincia a chiedere se le mosse di oggi serviranno a facilitare una ripresa non effimera domani.

Due economisti del 'think tank' di Bruxelles Bruegel, Jean-Pisani Ferry e Bruno van Pottelsberghe, hanno studiato la crisi finanziarie che hanno condotto a recessioni in Finlandia, Giappone, Corea del Sud e Svezia negli anni '90 per capire in che modo le misure anti-crisi hanno determinato il risultato e i caratteri della successiva ripresa. Il contrasto appare chiarissimo tra Giappone e Svezia. In Giappone le banche hanno nascosto le perdite a lungo e non sono state in grado di svolgere il loro ruolo, famiglie, imprese e finanze pubbliche hanno sofferto perdite enormi.

Ancora si leccano le ferite per il 'decennio perduto'. In Svezia la pronta ricapitalizzazione delle banche gestibili, la nazionalizzazione di quelle insolventi e interventi nell'economia per il sostanziale miglioramento della produttivita' hanno reso possibile ricostituire la perdita accumulata di prodotto. Proprio dal modello svedese, indica Bruegel, discendono sei indicazioni utili per l'Europa: i governi devono annunciare "esplicitamente" strategie di bilancio condizionate; le misure di stimolo all'economia devono concentrarsi sulle politiche pro-crescita nei settori dell'educazione e dell'innovazione (nel lungo termine a un incremento della spesa in ricerca e sviluppo dell'1% del pil corrisponde un aumento della spesa del business dell'1,5%); va accelerata la ristrutturazione delle banche; il sostegno all'occupazione deve essere temporaneo, ad ampio raggio evitando di favorire particolari imprese o settori e di espellere manodopera dal mercato del lavoro; l'aiuto all'industria tradizionale va condizionato alla ristrutturazione; il sostegno all'innovazione deve limitare la caduta dell'intensita' della ricerca e sviluppo durante la crisi in modo da garantirsi guadagni di produttivita' quando ci sara' la ripresa

(*) Antonio Pollio Salimbeni, esperto di economia internazionale, dal 2002 è corrispondente a Bruxelles per Il Sole 24 Ore Radiocor. Già inviato e corrispondente a Washington per l'Unità, ha vinto i premi giornalistici Saint Vincent 1997 e Lingotto 1999. Ha pubblicato "Il drago, Hong Kong, la Cina e l'Occidente alla vigilia del nuovo millennio" (con L.Tamburrino, Donzelli 1997), "Il grande mercato. Realtà e miti della globalizzazione" (Bruno Mondadori1999), "Lo sviluppo insostenibile" (con P.Greco, BrunoMondadori 2003).

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