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Mercati: svolta alla Commissione Ue, finita l'era dell'autoregolazione
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)* |
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BRUXELLES - Tra crisi finanziaria e profumo di elezioni (in giugno si voterà per il parlamento europeo e la Commissione Barroso scade a fine 2009) ai piani alti dell'esecutivo europeo si sta consumando una svolta politico-culturale: la strategia dei codici di condotta per agenzie di rating, banchieri e gli altri operatori dei mercati finanziari è stata messa in soffitta destinata a coprirsi di polvere, sepolta dal colpo d'ala del ‘big government' che ricapitalizza, garantisce, ritira i titoli spazzatura per non far crollare l'intero castello finanziario.
Naturalmente è una svolta non generalizzata, cauta, con qualche contraddizione e con qualcuno che si mette di traverso, ma la svolta è chiara. Qualche giorno fa all'Europarlamento Josè Barroso, per esempio, ha clamorosamente smentito il commissario al mercato interno McCreevy, irlandese e capofila con Neelie Kroes (e i britannico Mandelson prima che tornasse a Londra) dell'ala liberista comunitaria, indicando la necessità di ripensare le regole di regolazione e supervisione del settore finanziario "inclusi hedge funds e private equity". McCreevy, facendo inviperire i deputati, aveva appena sostenuto che entrambi vanno soltanto "monitorati e non trattati come il settore regolamentato".
Il responsabile degli affari economici Almunia, socialista spagnolo, da tempo cerca di convincere i colleghi che "sono in declino le teorie che hanno favorito meno regolazione o autoregolazione delle istituzioni finanziarie". Non ci vuole un coraggio da leone per fare affermazioni del genere, ma sono cose che il commissario spagnolo ha sempre detto (purtroppo inascoltato).
Un passo decisivo sarà compiuto tra un mese con le proposte di regolazione delle agenzie di rating, settore per il quale anche McCreevy si è alla fine piegato all'evidenza. Quattro i pilastri del progetto di Bruxelles: ‘muro' per impedire conflitti di interesse, miglioramento della qualità della valutazione, trasparenza, autorità di supervisione e regime di applicazione obbligatoria nel territorio Ue.
Per ora non ci sono nuove idee sui fondi sovrani, improvvisamente diventati ‘nemici' dopo essere stati corteggiati da mezza Europa nella prima fase della crisi subprime. Bruxelles si adegua al codice globale di buona ‘governance' pur riservandosi di avanzare nuove idee se non dovesse funzionare.
Ciò che emerge chiaramente è l'eterno ritardo con cui si muove la Commissione europea non solo rispetto agli eventi, condizione che condivide con tutte le altre autorità politiche e monetarie, ma rispetto a quanto si decide in altre parti del mondo. Chiarissimo il caso delle agenzie di rating: primi a muoversi nel senso di una regolazione furono lo Stato di New York e l'organismo di controllo della Borsa americana. Bruxelles ha seguito l'onda.
Qualche giorno fa Barroso ha spiegato come sia velleitario immaginare una Commissione che propone regole sapendo in anticipo che non passeranno mai. Giusto, ma è pur vero che troppe volte l'eccesso di realismo ha portato alla paralisi nell'iniziativa (di cui la Commissione è l'unica depositaria nella Ue). Oggi sono in molto a mordersi le dita.
Più o meno lo stesso rischia di accadere adesso sulla supervisione bancaria: Bruxelles ritiene "minimalista" l'idea di un collegio di supervisori per i gruppi transfrontalieri e rilancia genericamente una "soluzione europea" senza precisare se ritiene necessaria un'autorità unica. L'aria che tira tra i governi non spinge in questa direzione, ma la crisi in atto dovrebbe pur imporre un dibattito più aperto e coraggioso. Il tema lo ha rilanciato Philippe Maystadt, ex ministro belga delle finanze e da anni alla guida della Banca europea degli investimenti. L'idea è un supervisore europeo sulla falsariga del sistema europeo di banche centrali "con la Bce che definisce la politica comune e le banche nazionali che la attuano".
I realisti si dichiarano soddisfatti perché i capi di stato e di governo hanno appena deciso di riunire i supervisori nazionali "almeno una volta al mese". Speriamo abbiano ragione.