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Euro: dopo 10 anni un successo, ma i giovani non si sentono più europei
di Antonio Pollio Salimbeni * |
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Quasi dieci anni dopo per l'euro, introdotto il primo gennaio 1999, è tempo di bilanci. Anche se è troppo forte e anzi ormai al limite del sopportabile per l'economia, se ne celebrano giustamente i vantaggi. In questi mesi di grandi scossoni economici, tra crisi finanziarie e caropetrolio, lo si considera una vera e propria ciambella di salvataggio. L'effetto più tangibile della moneta unica, si ripete spesso, è la straordinaria crescita dell'occupazione: sedici milioni di posti di lavoro creati dal 1999, tasso di disoccupazione al 7% (era al 9,4%). Un altro effetto chiaro e netto riguarda il deficit pubblico aggregato calato nel 2007 allo 0,6% del pil (quest'anno destinato però a risalire a causa del rallentamento economico). Terzo effetto, prezzi stabili e contenuti per un periodo lunghissimo.
Dotte ricerche preparate per festeggiare l'anniversario (il 15 e il 16 maggio a Brussels ci sarà una megaconferenza europea con ministri, banchieri centrali, economisti) raccontano con dovizia di analisi e tabelle statistiche i grandi pregi dell'euro prima guardato con disprezzo e incredulità (oltre Atlantico), ora corteggiato da mezzo mondo. Tra le conclusioni questa: l'euro ha un impatto positivo diretto sulla crescita nei paesi chiave, Italia, Francia, Germania. Nel lungo termine in tali paesi, stimano gli economisti della Commissione europea, l'unione monetaria accresce il pil nella misura dell'1%.
E' lecito però domandarsi come mai dall'introduzione della moneta unica la crescita economica sia stata debole rispetto a quella americana e dei paesi europei fuori dall'unione monetaria come Regno Unito, Danimarca e Svezia. Il motivo è noto e l'euro non c'entra. La bassa crescita nell'eurozona è dovuta alla più debole produttività oraria per addetto, al tipo di qualificazione delle professionalità, alla minore importanza dello stock di ricerca e sviluppo e alla più difficile diffusione delle tecnologie informatiche nell'intero processo produttivo e di consumo. Semmai qui emerge la debolezza "politica" dell'eurozona: il coordinamento tra i governi funziona solo per fustigare questo o quello sui conti pubblici, non funziona per tutto il resto.
E le opinioni pubbliche? E' da tempo noto che solo metà dei cittadini considera l'euro un fatto positivo e in alcuni paesi lo si è perfino considerato svantaggioso (Italia, Grecia, Olanda). Colpa dell'aumento dei prezzi anche se sappiamo che, in relazione alla moneta unica, non è stato statisticamente significativo in nessun paese. Ma ai sondaggi si risponde con la pancia, non con argomenti macroeconomici. Il tasto più doloroso riguarda i giovani tra i 15 e i 24 anni: l'uso dell'euro non ha cambiato il loro sentirsi europei fatta eccezione per gli irlandesi. E qui casca (quasi) tutto. Non si pensava che la moneta unica avrebbe fatto compiere un salto triplo verso un senso di appartenenza più ampio, capace di travalicare – appunto – le frontiere travolte dall'unica moneta? Forse se si smette di fare dell'euro il capro espiatorio di tutti i mali e se magari si dedica attenzione alla dimensione politica e culturale della moneta unica (meno economisti e più filosofi ai convegni), qualcosa cambierà.
Più o meno sulla stessa lunghezza d'onda la Commissione europea, che nell'ultimo bollettino economico parla della "capacità di resistenza" delle imprese non finanziarie come di un salvagente sostenuto da "un mercato del lavoro dinamico, una elevata capacità di utilizzazione degli impianti e dalla buona posizione finanziaria delle imprese" (la quota di profitti del settore nell'eurozona, indica il bollettino, è rimasta elevata al 39,4% nel terzo trimestre 2007). Non sarà sufficiente ad assicurare un ‘completo decoupling' dagli Stati Uniti, ma almeno a far sì che gli effetti della crisi finanziaria siano almeno due volte meno intensi che negli Usa, come sostiene il Fondo monetario. A parte eventuali nuove brutte novità sui conti bancari, è chiaro però che restano aperti interrogativi grandi quanto una casa: sul cambio dell'euro, sul commercio mondiale (il Fmi si appresta a ridurre la stima di crescita nel 2008 da 4,1% a 3,7%), su un tasso di inflazione per molti mesi sopra quota 3%, sulla capacità di spesa delle famiglie. Troppe variabili che consigliano prudenza.
Antonio Pollio Salimbeni, esperto di economia internazionale, dal 2002 è corrispondente a Bruxelles per Il Sole 24 Ore Radiocor. Già inviato e corrispondente a Washington per l'Unità, ha vinto i premi giornalistici Saint Vincent 1997 e Lingotto 1999. Ha pubblicato "Il drago, Hong Kong, la Cina e l'Occidente alla vigilia del nuovo millennio" (con L.Tamburrino, Donzelli 1997), "Il grande mercato. Realtà e miti della globalizzazione" (Bruno Mondadori1999), "Lo sviluppo insostenibile" (con P.Greco, BrunoMondadori 2003).