di Antonio Pollio Salimbeni

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17 febbraio 2009


Crisi: l'emergenza è il lavoro, nuova ricetta europea
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
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BRUXELLES –Trecentomila posti di lavoro già persi in otto mesi nel settore manifatturiero a causa della ristrutturazione industriale. Tre milioni e mezzo di posti di lavoro in meno nel biennio 2009-2010 previsti. Per ogni posto creato ce ne sono tre cancellati. Non eravamo abituati a un tale bollettino di 'guerra', gli anni d'oro di una crescita rapida dell'occupazione (per qualche tempo anche più rapida e consistente di quella americana) e di una disoccupazione a quota 6-7% sono definitivamente alle spalle. E adesso si profila uno scenario piuttosto cupo: se in molti paesi governi, imprese e sindacati concordano riduzioni di orario senza licenziamenti, con un attivo contributo delle casse pubbliche, questa soluzione potrà funzionare solo per poco tempo. E' una soluzione tampone che, si dice a Bruxelles, potrà fermare l'onda per un anno, un anno e mezzo. Non molto di più.
Prendiamo il settore auto, 12 milioni e mezzo di addetti tra diretti e indiretti, quasi un terzo di produzione mondiale, 381 miliardi di euro garantiti nelle casse statali ogni anno (attraverso l'imposizione fiscale). In realtà la grande crisi del settore auto americano e la recessione in Europa hanno solo drammaticamente accelerato e intensificato un processo da tempo sotto gli occhi di molti: in Europa, calcola la Commissione europea, c'è una sovracapacità produttiva strutturale di circa il 20%. Ciò significa che in tempi normali bisognerebbe produrre grossomodo quattro milioni di auto in meno l'anno.
Ciò significa una cosa molto semplice: dobbiamo attrezzarci a una nuova ondata di ristrutturazioni industriali. Non sappiamo ancora in quale misura comporterà delocalizzazioni produttive, da dove e verso dove. Stando alle feroci polemiche tra vari governi (tutti, non solo fra quelli dell'ovest e quelli dell'Est europeo), la difesa del lavoro dei propri connazionali riguarda l'oggi ma anche il domani. Non sappiamo quanto durerà questa ondata, ma sappiamo che arriverà.
Così dopo i salvataggi bancari, le ricapitalizzazioni (appena all'inizio), gli aiuti stato per i settori industriali più vulnerabili, i piani di intervento fiscale e di finanziamento delle opere pubbliche, ora si comincia a discutere - finalmente - dell'anello mancante: come gestire l'impatto sociale della crisi nel medio periodo.
All'ultima riunione dell'Eurogruppo, stando a un documento riservato di cui Il Sole 24 Ore Radiocor è in possesso, la Commissione europea ha sottoposto uno schema di misure per limitare i danni della recessione sull'occupazione e prepararsi alla nuova fase di ristrutturazioni. La durata degli assegni di disoccupazione viene giudicata adeguata per fronteggiare la contrazione dell'economia in molti paesi. Ma se "la crisi dovesse essere più profonda e più lunga dovrebbe esserne valutata la temporanea estensione nel 2009 e nel 2010" là dove la copertura risultasse limitata. In sostanza, se l'economia non riprende alla scadenza dell'assegno di disoccupazione, questo va prolungato. Non solo, la copertura dovrebbe essere assicurata in particolare ai gruppi più vulnerabili: genitori singoli, donne, lavoratori a basso reddito e contrattisti temporanei e atipici.
Un altro strumento per facilitare il re-impiego in un altro settore è l'assicurazione salariale per un periodo limitato per compensare una parte della retribuzione perduta nel caso si accetti un posto di lavoro pagato meno del precedente. E' il modello sperimentato negli Usa nel 2002, uno 'schema pilota' per i lavoratori di età superiore ai 50 anni ai quali veniva garantita la metà della differenza tra il vecchio e il nuovo salario per 26 settimane.
Tra le cose da non fare, invece, ci sono i prepensionamenti e il sostegno di posti di lavoro nei settori industriali "declinanti" attraverso interventi fiscali, che costituirebbe una forma di "protezionismo vecchio stile", (ritardando la necessaria ristrutturazione). Inoltre non vanno creati su larga scala posti di lavoro pubblici.
Il principio quadro sul quale va garantito in via preliminare l'accordo tra governi e parti sociali in tutti i paesi è "evitare una rovinosa perdita di lavoro nelle industrie colpite temporaneamente da crolli di domanda di breve termine". Sperando che siano, appunto, di breve termine.

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