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26 SETTEMBRE 2008


Stipendi d'oro: Europa bocciata, gli azionisti contano troppo poco
di Antonio Pollio Salimbeni (corrispondente da Bruxelles di Radiocor)*
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BRUXELLES -Ormai è scattata la «guerra» contro i superstipendi dei manager delle società finanziarie e delle banche. Da una capitale all'altra, Parigi e Berlino innanzitutto, la corsa alla «civilizzazione» del mercato guadagna adepti e si capisce il motivo: possono i responsabili di tanto disastro passarla liscia salvati più o meno anche loro dall'intervento pubblico? Chiaramente no.

Lancia in resta sono partiti esponenti politici di calibro, in primo luogo il presidente francese Sarkozy, che ha posto un aut aut: o il settore si autoregolamenta o saranno fissati per legge un tetto alle retribuzioni degli alti manager e regole per le paghe dei ‘trader'. Il cancelliere dello Scacchiere britannico Darling vuole che i bonus diventino una ricompensa a chi lavora per la stabilità delle società finanziarie in una visione di medio e lungo termine. Abbandonato lo ‘short terminism', che premia chi fa incrementare guadagni alla società moltiplicando i debiti e trasferendoli ad altri. Sostenuto dalla cancelliera Merkel, il ministro delle finanze tedesche Steinbrueck annuncia un giro di vite sulle retribuzioni variabili per i banchieri nel quadro di una stretta generalizzata che prevede la proibizione delle vendite allo scoperto e un freno alle cartolarizzazioni. Azioni che non possono limitarsi a un solo paese e neppure all'Europa, visto che il governo tedesco è intenzionato a proporre standard internazionali per rendere i manager direttamente responsabili delle operazioni di trading.

La crisi finanziaria ha accelerato una svolta politico-culturale da mesi nell'aria: da un anno a questa parte non c'è riunione dell'Ecofin (ogni mese eccetto agosto) in cui non si sia sentito almeno un ministro delle finanze scagliarsi contro i superstipendi. La palma della denuncia è del presidente dell'Eurogruppo Juncker, leader dei cristiano-sociali lussemburghesi e anche premier. Non è un caso: più si chiede moderazione ai salariati (medio-bassi) per contenere l'inflazione meno è socialmente e politicamente tollerabile la distanza tra la busta paga+bonus dell'alto manager e quella del dipendente medio. Passi concreti, però, poco o nulla.

La gara odierna per correre ai ripari evitando le distorsioni retributive per cui si guadagna di più se si rischia di più (con i soldi altrui) non può far dimenticare la feroce resistenza dimostrata finora dalla maggioranza dei governi a imporre il rispetto di regole minimali di ‘governance' aziendale. Nel luglio 2007, giusto qualche settimana prima dello scoppio della crisi ‘subprime', la Commissione europea ha presentato un rapporto molto dettagliato sul modo in cui gli stati hanno applicato le raccomandazioni Ue del 2004 sulle remunerazioni degli amministratori delle società quotate per garantire trasparenza, controllo degli azionisti sui sistemi, «allineare retribuzioni e prestazioni evitando eccessi». Tutte condizioni considerate necessarie per "ripristinare la fiducia degli investitori nelle società e nei mercati borsistici»

Deludente il risultato. Se nella maggioranza degli stati sono pubbliche le informazioni sulle remunerazioni individuali (previste in due terzi dei paesi, Italia compresa), le raccomandazioni sulle informazioni sulla politica generale delle remunerazioni (componenti variabili e invariabili, criteri di valutazione per le opzioni su azioni, premi annuali) sono seguite solo dalla metà degli stati e, quel che è peggio, «solo una minoranza considera necessario raccomandare che gli azionisti votino sui criteri di remunerazione dei membri del board e del management». Accade in Francia, Irlanda, Ungheria, Lituania, Malta, Olanda, Svezia e Regno Unito. Soltanto nel Regno Unito e in Lituania si prevede un voto su un punto separato dell'ordine del giorno dell'assemblea. In Italia là dove c'è un solo ‘board' l'assemblea ha il potere di approvare le remunerazioni, con la ‘doppia governance' è il «board» dei supervisori a decidere sulle remunerazioni dei manager a meno che tale potere non sia attribuito all'assemblea. In ogni caso non c'è un voto specifico sui criteri delle remunerazioni.

La conclusione è semplice: necessità di far la voce grossa per calcolo politico-elettorale a parte, non potrà essere ottenuto alcun risultato se non si incrementa la "democrazia" dell'azionista.


Antonio Pollio Salimbeni, esperto di economia internazionale, dal 2002 è corrispondente a Bruxelles per Il Sole 24 Ore Radiocor. Già inviato e corrispondente a Washington per l'Unità, ha vinto i premi giornalistici Saint Vincent 1997 e Lingotto 1999. Ha pubblicato "Il drago, Hong Kong, la Cina e l'Occidente alla vigilia del nuovo millennio" (con L.Tamburrino, Donzelli 1997), "Il grande mercato. Realtà e miti della globalizzazione" (Bruno Mondadori1999), "Lo sviluppo insostenibile" (con P.Greco, BrunoMondadori 2003).

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