La prima breccia in un mondo impenetrabile

di Dario Ceccarelli

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8 maggio 2007


Forse, ma non illudiamoci, è una svolta storica. La confessione di Ivan Basso, anche se tardiva, può aprire una breccia in un mondo, quello del doping, più impenetrabile di una cassaforte. Intendiamoci, anche se è il primo corridore importante che accetta di collaborare, Basso non è un santo. Alla confessione infatti arriva quasi con un anno di ritardo; e dopo esser stato messo all'angolo da una inchiesta che ha già smascherato Jan Ullrich costringendolo al ritiro.
In più, diciamolo, Ivan ha fatto due conti: a quasi trent'anni, ostinarsi a negare, come un marito colto in fragrante con l'amante, l'avrebbe portato a una punizione pesantissima, insomma a un amaro addio al ciclismo. Però, calcoli a parte, Basso è il primo che accetta di uscire da questo patto omertoso che condiziona il ciclismo, e quindi la sua scelta va comunque rispettata. Bisognerà vedere nello specifico cosa racconta, ma comunque ha ammesso un suo coinvolgimento.
«Ora mi sento più leggero, non ci sono più gli incubi, li ho spazzati via», ha detto Ivan Basso uscendo dalla Procura antidiping del Coni. «Ho raccontato gli errori che ho commesso in passato, che sì conoscevo il dottor Fuentes, ma chi non ha mai sbagliato in vita sua?».
Basso, insomma, ha ceduto, apre uno spiraglio su un mondo a parte dove sembra si giri un altro film, dove tutti fingono di non sapere e di non vedere. Un intreccio assurdo perchè tutti si dopano per paura di non essere all'altezza, perdere la stagione favorevole, l'ingaggio miliardario, lo sponsor importante che, a sua volta, chiede risultati altrettanto importanti salvo poi scandalizzarsi, e fuggire, quando gli scandali diventano inbarazzanti per un prodotto commerciale.
Un mondo a parte, dicevamo, che però non regge più, perchè l'immagine che passa è quello di uno sport sempre meno credibile. Tutti drogati, tutti praticoni. Una volta la gente si stupiva. Quando Merckx nel 1969 fu colto in flagrante al Giro d'Italia, le sue lacrime commossero anche le massaie. Ma dal 1998, da quando al Tour esplode la vicenda della Festina, che anticipa il calvario di Pantani, ogni grande corsa a tappe si accompagna ai blitz dei Nas e della polizia. Alla Vuelta del 2005 vince Heras e subito dopo viene squalificato per doping. Al Giro d'Italia dell'anno scorso Basso arriva a Milano con la maglia rosa ma finisce subito nell'inchiesta spagnola fino alla confessione di queste ore. Il ridicolo lo si tocca con il Tour: via tutti i big coinvolti nel doping, dicono con orgoglio gli organizzatori francesi. Vince Landis, un americano quasi sconosciuto. Naturalmente dopato. A casa anche lui.
Arrivati a questa svolta, non bisogna perdere l'occasione. Andare davvero fino in fondo, senza criminalizzare solo Basso, colpevole solo di essersi adeguato a un sistema che si regge sulla menzogna. Bisogna dire una cosa. Non è che gli altri sport, abbiano motivi per ridere. Anzi, resta l'impressione che da questo punto di vista il ciclismo sia più esposto proprio perchè è più facile colpirlo, magari facendo un blitz in un albergo il giorno prima della tappa decisiva. Il problema vero, è che lo sport per il suo intreccio perverso tra prestazione e business, alza sempre di più l'asticella delle prestazioni. Sempre più veloci, potenti, invincibili. E se non ce la fai, dopati.

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