Il pugile simbolo di un'Italia che non c'è più

di Gigi Garanzini

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20 gennaio 2008

Difficile crederlo oggi che le loro discipline sportive sono, se non estinte, perlomeno cadute in disuso. Ma nella seconda metà degli anni cinquanta, e ancora nei primi sessanta, i due personaggi sportivi più popolari in Italia furono probabilmente Duilio Loi e Antonio Maspes. L'uno il pugile elegante, classico, un combattente ma insieme anche uno schermidore del ring. L'altro il re dei pistard, celebre tanto per il suo colpo di reni che per gli interminabili surplace con cui innervosiva l'avversario quando toccava a lui condurre la volata. Il calcio poteva proporre, a quei tempi, qualche grande campione straniero come Schiaffino, Sivori, Nyers: ma la scuola italiana era in crisi, e la nazionale non rimediava se non scoppole memorabili.
Furono entrambi, Loi e Maspes, i re del Vigorelli, teatro delle loro imprese più grandi. Un velodromo cui i cumenda del tempo andavano come a teatro: non a caso il cavalier Borghi fu il primo sponsor ante-litteram di questi due indimenticabili campioni, e grazie anche alle loro gesta riuscì ad imporre il suo marchio nel mondo.
Duilio Loi era triestino, come Nino Benvenuti che ne avrebbe poi rinverdito le gesta. Esordì a nemmeno vent'anni, nel '48, per ritirarsi nel '62, ancora assai giovane, dopo aver riconquistato la corona mondiale contro Perkins. Il suo score parla di 126 combattimenti, con 115 vittorie e tre sole sconfitte. Le più amare sarebbero arrivate più tardi, a causa di turbolenze familiari che finirono per minarne anzitempo prima la serenità e poi la salute. La sua formidabile scelta di tempo nell'evitare i colpi sul ring non valse ad aiutarlo, ahinoi, a schivare i jab e gli uppercut che il destino aveva scelto di riservargli.

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