La storia infinita del K2 è sempre stata divisa in due opposte versioni: quella ufficiale di Ardito Desio e quella di Walter Bonatti. Luci e ombre sulla conquista italiana della seconda montagna più alta del mondo (8616 m), compiuta il 31 luglio 1954 a coronamento della titanica spedizione guidata da Desio. In vetta arrivarono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, ma un ruolo chiave nell'impresa, finora mai riconosciuto nelle cronache del Club Alpino Italiano, spettò a Bonatti, allora 24enne. Le polemiche decennali si spegneranno forse con il libro "K2 una storia finita", fresco d'approvazione da parte del Cai. Già nel 2004, il sodalizio aveva incaricato la commissione composta da tre saggi, Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi, di rivedere la relazione di Desio, la posizione di Bonatti, le testimonianze degli scalatori, per fugare ogni dubbio su quel che accadde veramente.
La verità del Cai a scoppio ritardato
Nel 2004, Reinhold Messner si era pronunciato a favore di Bonatti, dichiarando al Filmfestival della montagna a Trento che «se la conquista del K2 ha come padre Ardito Desio, ha certamente il secondo padre in Walter Bonatti». Che la versione del capo spedizione contenesse omissioni e incongruenze, era chiaro alla comunità alpinistica internazionale, ma i meccanismi farraginosi del Cai hanno impiegato 54 anni per fornire una nuova voce ufficiale, che ammette gli errori del passato. Il K2 secondo Bonatti, però, non ha dovuto aspettare il 2008: l'alpinista ha difeso con forza la sua versione dei fatti, vincendo anche una causa legale nel 1967. Il libro del Cai serve solo a convalidare quello che già era noto, come spiega Agostino Da Polenza, ricordando che il termine "riabilitazione", riferito a Bonatti, è del tutto errato proprio perché la sua verità era già emersa da molto tempo.
Resta dunque immutato il valore dell'impresa italiana del '54: le capacità organizzative (in stile militaresco) messe in campo da Desio, l'ottima prova di squadra degli 11 alpinisti, la vittoria di Compagnoni e Lacedelli, il coraggio e l'abnegazione di Bonatti. Una spedizione celebrata coi toni dell'epica e dell'eroismo, e anche per questo motivo così a lungo protetta dalle revisioni storiche. Vale dunque la pena ricordare gli eventi che precedettero la salita finale del 31 luglio. Siamo al 30 luglio: Bonatti e il portatore Mhadi stavano trasportando i trespoli con le bombole d'ossigeno verso il nono e ultimo campo, dove si trovavano Compagnoni e Lacedelli.
Le bombole erano indispensabili per tentare l'assalto alla vetta. Il campo, però, era più in alto della quota stabilita in precedenza; Bonatti e Mahdi non riuscirono a raggiungerlo e dovettero bivaccare a 8100 metri, salvandosi per miracolo (Mahdi con gravi congelamenti e successive amputazioni). La mattina del 31, Compagnoni e Lacedelli scesero a recuperare le bombole, lasciate dai loro compagni prima di tornare all'ottavo campo. Poi partirono verso la vetta, conquistata una decina d'ore più tardi. Un gesto eroico che permise il successo comune? In realtà, fu solo l'inizio di una serie di bugie, rancori e accuse sfociate in tribunale.
Il falso della conquista senza ossigeno
Compagnoni e Lacedelli dichiararono che l'ossigeno era finito a 200 metri dalla cima, raggiunta, quindi, senza l'ausilio delle bombole. Nel 1964, un articolo sulla Nuova Gazzetta del Popolo firmato da Nino Giglio, riportava varie accuse dei due protagonisti contro Bonatti, tra cui quella di aver rischiato di compromettere l'impresa per ambizione personale. Bonatti, in sintesi, sarebbe voluto salire fino in cima, e avrebbe usato una parte dell'ossigeno durante il bivacco notturno. L'accusato fece causa al giornalista per diffamazione, vincendola nel 1967, e poi continuò a ripetere la sua verità. Non aveva consumato ossigeno perché sprovvisto di erogatori e maschere; Compagnoni e Lacedelli avevano ignorato gli accordi sulla quota dell'ultimo campo, forse temendo che Bonatti potesse poi sopravanzarli, sistemandolo in una posizione più elevata.
Bonatti, inoltre, affermò che Compagnoni e Lacedelli erano giunti sulla vetta con le bombole ancora operative: se si fossero esaurite a 200 metri dalla meta, come asserivano i due alpinisti, non sarebbero potuti salire senza ossigeno a una velocità tripla rispetto alle ore precedenti (100 metri l'ora contro 31). Perché, poi, tenersi le bombole vuote sulle spalle invece di lasciarle a 8400 metri? La prova inconfutabile è nelle foto, pubblicate sull'annuario svizzero "Berge der welt" del 1955 ma scoperte solo nel 1994: si vede Compagnoni in vetta con la maschera ancora sul volto. Quindi la retorica della conquista senza ossigeno era un falso mai smentito da Desio, mentre il ruolo chiave di Bonatti è sempre stato un punto fermo, ora finalmente certificato anche in via ufficiale.