«Il merito della vittoria è solo di chi l'ha conquistata in pista e di chi ha lavorato per questo successo». Giancarlo Minardi, fondatore della omonima scuderia che nel 2006 si è trasformata in Toro Rosso, non vuole riconoscimenti per il trionfo di Sebastian Vettel a Monza nella gara di Formula 1 di domenica scorsa. Eppure molti dei tecnici e degli uomini dell'équipe di Faenza (Ravenna) sono gli stessi che avevano lavorato con Minardi nell'esperienza di F1 dall'85 al 2001.
Una squadra di uomini nati tra la Romagna e Modena, culla insuperabile del motorismo nazionale. Dotati di grande simpatia e di carica umana, ma anche di risorse finanziarie decisamente inferiori rispetto a quelle che ha potuto mettere in campo la Toro Rosso emanazione della Red Bull.
Per Minardi, invece, gli esordi sono stati molto diversi. Legati all'auto, sin da piccolo, poiché la famiglia aveva una concessionaria Fiat. Motori come tradizione di famiglia nella Romagna dei corridori significava, inevitabilmente, provare anche l'esperienza da pilota. Minardi ci ha provato, per poi ripiegare sul ruolo di direttore della scuderia del Passatore e poi della scuderia Everest. La passione per le auto l'ha portato ad affrontare le competizioni in Formula Italia e Formula 3, utilizzando telai acquistati in Inghilterra. Cercava di lanciare giovani nel mondo della competizione su 4 ruote. Come quel Giancarlo Martini che distrusse la Ferrari 312T nella Race of Champions di Brands Hatch.
Meglio dedicarsi alle proprie auto. La prima Minardi, disegnata da Giacomo Caliri, esordì in Formula 2 nell'80. E l'anno successivo, a Misano, la Minardi conquistò la sua prima vittoria con Michele Alboreto. Il successo rappresentò la spinta per cominciare a pensare all'assalto alla Formula 1. L'esordio è dell'85, al Gran Prix del Brasile, con Pierluigi Martini a bordo della M/85 con motore Cosworth, prima di passare a un turbo della Motori Moderni. «Erano gli ultimi anni del turbo – ricorda Minardi – e si schieravano sino a 38 vetture. Noi eravamo tra i primi 20 classificati e tra i primi 10 team». Il primo piazzamento è dell'88, il sesto posto di Martini a Detroit, ma nella storia della scuderia figurano alcuni piazzamenti in quarta posizione. Nel frattempo cambiavano i motori (compreso il Ferrari nel '91) e aumentavano le spese e i problemi finanziari. Prima la fusione con la Scuderia Italia, poi la cessione a un gruppo di investitori tra cui Flavio Briatore e Gabriele Rumi.
Infine, nel 2001, la vendita all'australiano Paul Stoddart che garantì alla scuderia di superare le difficoltà finanziarie ma non apportò le risorse necessarie per uno sviluppo effettivo. Così, nel settembre 2005 la squadra romagnola viene ceduta all'austriaca Red Bull di Dietrich Mateschitz che la trasforma nella Toro Rosso. Ancora pochi mesi e il 50% delle quote è rilevato dall'ex pilota Ferrari Gerhard Berger.
È l'inizio della nuova storia della scuderia di Faenza. Le risorse sono ancora molto distanti da quelle dei grandi team (basta pensare alle differenze dei contratti dei piloti), ma sono comunque sufficienti per crescere. Aumentano i dipendenti, dai 98 di fine 2005 agli attuali 200, e cresce la qualità. Non è stato solo il Gran Premio di Monza a far sì che la Toro Rosso perdesse la fastidiosa etichetta di seconda squadra della Red Bull. In effetti all'inizio era stata concepita proprio per essere una sorta di palestra per allenare i piloti da far correre nella squadra maggiore.
Poi, però, i risultati hanno permesso alla Toro Rosso di conquistarsi il diritto a confrontarsi con tutti, a partire proprio dalla casa madre che ora è dietro di un punto rispetto alla scuderia italiana. Merito del motore Ferrari (mentre Red Bull dispone di un Renault) ma merito, tra gli altri, anche di Giorgio Ascanelli, direttore tecnico che arriva dalla Maserati dopo esperienze in Ferrari e McLaren. Amico di lunga data di Berger, ma capace anche di battere i pugni sul tavolo quando occorre.
In fondo è la filosofia della Toro Rosso e, prima della Minardi: amicizia, impegno, fedeltà alla "famiglia". Ancora adesso, nonostante i nuovi arrivi di tecnici dall'estero, il grosso dei dipendenti è italiano, con un cuore romagnolo che rappresenta l'identità e la storia del gruppo.
Un gruppo che guarda al domani con l'orgoglio dell'inno nazionale suonato a Monza – tanto per far notare che la Ferrari non è la sola squadra italiana – e con la consapevolezza che si deve far meglio rispetto ai già eccezionali risultati di quest'anno. La stagione non è ancora conclusa ma, probabilmente, a Faenza non pensavano all'inizio dell'anno di potersi ritrovare con una vittoria e con una classifica migliore di Williams e Honda. Nel 2009 Vettel cambierà casacca e approderà alla Red Bull, mentre il futuro di Sebastien Bourdais non è ancora deciso. Il gruppo, comunque, dispone di una grande scuola per piloti e ci sarà solo l'imbarazzo della scelta.