In tempi di crisi, un'offerta fuori dalla realtà

di Massimo Donaddio

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16 gennaio 2009

Tra i tanti commenti scioccati (Alex Ferguson) o moralmente indignati (Cesare Prandelli) per l'incredibile offerta del Manchester City a Kakà, le parole più acute, che tengono conto di cosa il calcio è davvero diventato, sono quelle di Arsene Wenger, il bravissimo allenatore-manager dell'Arsenal, la squadra che più di tutte sforna giovani campioni per il calcio del futuro. «Il Manchester City non vive nel mondo reale, quste non sono cifre da mondo reale e soprattutto in un momento di crisi come questo». Nemmeno se si tratta di uno dei calciatori più forti del mondo, fosse anche il più forte. L'ingresso nel calcio della famiglia di sceicchi e petrolieri arabi che hanno la proprietà del City assomiglia sempre di più a ciò che è stato arrivo dell'oligarca russo Roman Abramovich al Chelsea e, fatte le debite proporzioni, del petroliere Massimo Moratti in quello italiano. Un'enorme iniezione di denaro che rischia di far saltare il banco del calcio europeo, già fortemente "dopato" dal pesante intervento delle televisioni.

Il punto in discussione non è la legittimità di un'azienda - quale una società calcistica è diventata - di investire nel proprio prodotto. Ma il fatto che non ci sia alcuna correlazione tra la redditività di una società - dovuta alle sue vittorie e al suo business - e i soldi che effettivamente la proprietà può mettere a disposizione, con ricchi proventi che derivano dal petrolio o da altri business. Lo ha detto bene Wenger, che, come la maggior parte degli allenatori inglesi, ha molta più influenza nella gestione economica del proprio club rispetto ai colleghi italiani: «Credo che se un club guadagnasse 100 milioni di sterline, allora non sarebbe immorale spendere quella cifra per un giocatore. Potrebbero dire: guardate, noi produciamo tanto e quindi possiamo spendere quello che vogliamo». È questa forchetta tra entrate e spese, che contribuisce ad alterare il mercato calcistico e a renderlo insostenibile, facendo risultare il football fuori dal mondo, quando persino la Formula 1 si sta dando una regolata. Bando al moralismo, ma in tempi di crisi economica, fa quantomeno specie sentir parlare di offerte del genere. Poi si sa, lo show deve continuare. E al Milan i calcoli li sanno fare molto bene.

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