Volata finale per le Olimpiadi

di Lello Naso

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02 ottobre 2009
L'arrivo di Barack Obama a Copenhagen (Ap)

La presenza di Obama a Copenhagen condizionerà il voto? A domanda diretta, il primo ministro spagnolo José Luis Zapatero ieri ha riposto con solennità: «Lo sport sarà il fattore più importante. Se non fosse così, addio spirito olimpico». Un attimo dopo, senza battere ciglio, ha ammesso che il personaggio determinante per Madrid è Antonio Samaranch («c'è grande rispetto per lui»), presidente onorario a vita del Comitato olimpico internazionale e grande manovratore di pacchetti di voti. Don Antonio è all'opera da un paio di mesi per convincere i 97 delegati a votare, stasera alle 18, la candidatura spagnola invece di Rio, Chicago e Tokyo.
Obama, partito ieri sera alle 18 da Washington, si fermerà appena quattro ore a Copenhagen. La delegazione americana guidata dalla moglie Michelle e asserragliata da due giorni al Marriot Hotel, un via vai di lobbisti e delegati di tutto il mondo, gli sta fissando il maggior numero possibile di incontri con i delegati più incerti. Poi, il presidente tenterà il colpo di reni con l'appello finale, mezz'ora di speech che dividerà con Michelle, e le risposte alle domande dei delegati. A preparare il terreno, da qualche settimana, ci sta pensando Harry Kissinger, ex segretario di stato americano e, dal 2000, unico membro onorario del Comitato olimpico internazionale. Grandi rapporti in Asia, 18 votanti, determinante più dell'Africa per arrivare alla maggioranza assoluta di delegati necessaria per avere i Giochi.
Se la candidatura di Tokyo è ormai considerata di bandiera (a comprometterla anche l'arrivo in netto ritardo del premier Hatoyama), i 12 delegati africani, storicamente i più condizionabili, hanno fatto una precisa scelta di campo in favore di Rio e del suo grande elettore, Joao Havelange, l'ex presidente della Fifa che ha assegnato i Mondiali di calcio del 2010 al Sudafrica. Puro voto di scambio.
«Yes we can», ha detto ieri il presidente brasiliano Lula, da tre giorni a Copenhagen a tessere la tela brasiliana. «Ho chiesto io ad Obama di raggiungermi in Danimarca», ha aggiunto in tono beffardo. Come dire, la candidatura di Rio, la prima volta del Sudamerica, ha ormai poco da temere. Anche perché, se Madrid uscirà prima del ballottaggio, riverserà i voti sulla città brasiliana. Come vuole il patto di ferro siglato tra don Antonio Samaranch e don Joao Havelange.
Invece, la storia delle assegnazioni delle Olimpiadi, soprattutto la più recente, dovrebbe mettere in allarme il presidente brasiliano. Determinanti sono l'ultima notte, quella appena trascorsa, e le ultime ore della maratona elettorale. Troppe volte una città è entrata Papa nel conclave olimpico ed è uscita cardinale.
I Giochi del 2012 si svolgeranno a Londra ma Parigi, prima della seduta plenaria del Cio di Mosca che ha scelto la sede, era data in vantaggio di una ventina di voti, un abisso. Per la bontà del dossier, per le alleanze diplomatiche, per la forza francese all'interno degli organi decisionali mondiali dello sport. Invece, due giorni prima della votazione (Singapore, 6 luglio 2005), arrivò un Tony Blair deciso a tutto. Blair e il suo staff incontrarono personalmente 40 delegati Cio. Il Libano, i paesi africani, i paesi dell'ex blocco sovietico, l'ex atleta ucraino Sergei Bubka, furono convinti uno a uno a votare per Londra. Ciliegina sulla torta, l'accordo tra i leader progressisti Blair e Zapatero contro il conservatore Chirac, arrivato a Singapore solo otto ore prima del voto. Risultato: Londra 54, Parigi 50. Quella che la stampa inglese definì la nuova Trafalgar. «Parigi ha perso le Olimpiadi - disse Kissinger - perché non ha capito che il Cio è pieno di membri che vengono da paesi poveri...».
In seguito il Comitato olimpico francese preparò un dossier reso pubblico e non contestato dagli inglesi in cui si parlava esplicitamente di azioni di lobbying illegali e di corruzione di delegati. «Mai proveremo a comprare voti - commentava amaramente il delegato francese Armand de Redinger - anche se non conosco città che non abbia avuto i Giochi senza pagare».
L'americana Salt Lake City, Olimpiadi invernali del 2002, si aggiudicò la gara addomesticando otto delegati, sei africani e due sudamericani, espulsi dal Cio al termine di un processo interno. Fortissimi dubbi vennero avanzati per l'assegnazione dei Giochi di Sidney 2000 che al Congresso di Montecarlo, dopo quattro votazioni, si lasciò alle spalle una Pechino strafavorita. Due soli voti separarono le due città, 45 a 43, con una lunga coda polemica delle autorità cinesi che accusarono gli australiani di aver corrotto alcuni delegati africani (gli stessi condannati per Salt Lake City). Solo l'assegnazione dei Giochi 2008 a Pechino, a grandissima maggioranza e senza nessuna ombra, ha ricucito la ferita.
C'era da risarcire una città e il popolo cinese. Come il Congresso Cio di Losanna del 1997 ricompensò Atene per lo scippo dei Giochi del centenario affidati ad Atlanta con l'assegnazione delle Olimpiadi del 2004. La notte prima della votazione, Nelson Mandela, leader della delegazione di Città del Capo, incontrò la plenipotenziaria di Atene, Gianna Angelopoulos, e decise di dirottare i suoi voti sulla capitale greca. A farne le spese fu Roma, sconfitta nettamente 66 a 41. La stessa Roma che ieri ha rilanciato la sua candidatura per le Olimpiadi del 2020. Oggi ci sono i cinque voti italiani da spendere. Andranno prima a Tokyo e poi a Chicago. A futura memoria.

02 ottobre 2009
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