Evidentemente è destino che ogni quarto di secolo, grosso modo, nasca un fuoriclasse argentino rigorosamente mancino e altrettanto rigorosamente di bassa statura. Quello degli anni '60 si chiamava Omar Sivori, degli anni '80 era Diego Maradona, il fenomeno del nuovo millennio ha nome Lionel Messi e deve il suo metro e sessantanove (che il sito ufficiale del Barcellona potrebbe avere approssimato per eccesso) all'ormone della crescita che lo salvò a suo tempo dal nanismo. Per la gioia di noi esteti e viziosi del gioco più bello del mondo.
L'intenditore più indicato a raccontarli tutti e tre, intrecciandone i talenti, si chiama Ottavio Bianchi, bresciano di nascita e bergamasco d'adozione, che con Sivori ha giocato, Maradona l'ha allenato, vincendo il primo storico scudetto napoletano, e di Messi si è innamorato a prima vista quando già dal calcio aveva preso le distanze, sia sul piano professionale che emotivo. «Talenti, per l'appunto. Allo stato puro. Straordinari interpreti di capacità diverse, di diversi ritmi, in grado di distinguere istintivamente il momento del numero, della giocata, da quello della semplicità, del passaggio facile al compagno più vicino. Tutti e tre con un paio d'occhi anche dietro, come si dice in gergo per significare la capacità di cogliere l'attimo a 360 gradi».
Uno per uno, cominciando da Sivori. «Intelligente, arguto, anche lazzarone. Ma erano tempi in cui si marcava a uomo, non si puniva il fallo da dietro e servivano coraggio e cattiveria per giocare alla Sivori. Lui l'aveva e questo era il suo valore aggiunto. Con Maradona entriamo già nel calcio moderno, i ritmi erano saliti, non potevi più stoppar la palla e guardarti intorno come ai tempi di Omar. Chiaro che più la velocità si alza, e oggi è salita ancora, più la raffinatezza tecnica è determinante per consentirti la giocata di qualità nel minor tempo possibile, prima di ritrovarti circondato. E stiamo parlando ormai di frazioni di secondo. Messi da questo punto di vista è il presente e insieme il futuro. Ma è soprattutto il miglior spot possibile per il calcio. Perché dimostra che per essere campioni non serve essere alti, o avere chissà che struttura fisica. Messi è la leggerezza articolare, l'arte di velocizzare, la purezza assoluta nel rendere apparentemente facili le cose più difficili».
Non per farne un santino, ma mentre Maradona e Sivori avevano anche quella prepotenza che è uno dei timbri del campione, Messi ha quell'aria da pulcino bagnato che fa persino tenerezza. «Lo vedi dagli occhi dei compagni, che pure sono fior di giocatori, che non c'è gelosia nei suoi confronti. E agli avversari sembra ispirare lo stesso rispetto di cui gode quell'altro fenomeno che è Federer. Nell'interesse del calcio speriamo che duri e si conservi così».

 

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