Il Sole 24 Ore
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30 ottobre 2008



Maradona, il ct dei sogni che può vincere il Mondiale
di Carlo Genta

Quando sei un bambino di dieci anni e non sai niente – tu come il resto del mondo nel '78… - di generali, persone che spariscono e aerei della morte, ti può succedere anche di innamorarti di una squadra di capelloni. Una maglia bellissima, bianca e celeste, coi calzoncini neri. Non è, ti dicono, quella del tuo Paese. Ma sei appunto un bambino di dieci anni e quella una squadra di capelloni, gente ruvida col tocco morbido, calcio e cattiveria. Qui è inizio estate, là inverno. Milioni di coriandoli sui campi, i pali delle porte con una striscia nera sulla base per vederli meglio nella nebbia. Il pallone si chiama Tango ed è meraviglioso. Ci sono Cabrini e Paolo Rossi che sono due ragazzini. Ma dall'altra parte c'è Mario Alberto Kempes che porta i calzettoni a metà polpaccio, gioca col petto in fuori e la potenza di un vento fortissimo. In porta c'è un pazzo col numero 5 (altra stranezza per quei tempi) che si chiama Fillol. Davanti ha una linea di difensori carogneschi guidati da un indio, Passarella. A centrocampo domina un ometto che pare uscito dai filmati d'epoca, Osvaldo Ardiles, unico tra l'altro ad avere un aspetto rassicurante. Insomma, tutto questo per dire che da bambini può anche capitare di innamorarsi dell'Argentina. E succede poi di non riuscire più a scollarsi di dosso quel brivido proibito, tanto da esultare sottovoce - quasi un sussurro di scuse – una sera di dodici anni dopo, quando la testa bionda, disordinata e pazza di Caniggia tocca la palla che scavalca Zenga. Inutile nascondere che a trasformare una insensata cotta infantile, in amore altrettanto illogico, sia stato un artista e un genio. Diego Maradona è adesso ct, dopo essere stato con quella maglia il numero uno al mondo e poi, sempre con quella maglia addosso, esasperato ultrà. Dite voi quanti ne avete visti scendere dalla curva alla panchina: non Klinssman con le sue camicie inamidate e i suoi vezzi statunitensi, non Van Basten con la sua eleganza austera o Dunga con l'aria da brasiliano con l'eterna saudade dentro. Anche in questo Diego è un record. Tempo un giorno e il mondo è già, di nuovo diviso, maggioranza e opposizione, favorevoli e contrari, perbenisti e innamorati. Intanto Grondona, numero uno dell'Afa, la Federcalcio argentina e fine politico, avrà fatto i suoi conti. Perché Maradona è scomodo. Ad esempio è polvere negli occhi di Sepp Blatter. Perché Maradona è individualista e non sopporterà ostacoli. Gli è stato affiancato Carlos Bilardo che guardò dalla panchina il miglior Diego di sempre vincere un mondiale da solo (Messico '86) e farsene rubare un altro (Italia '90). Grondona ha già detto che «a decidere sarà Maradona , ma Bilardo potrà esprimere la sua opinione: non sarà un poliziotto che vigila ad un angolo di strada». Però l'Argentina non è un angolo, ma una strada intera e in quella Diego vorrà essere il re. Concetto chiarito da Corrado Ferlaino: «Quando era nel Napoli faceva l'allenatore in campo. Un periodo c'è stato Bianchi, ma dal secondo anno i giocatori non si parlavano con Bianchi, e Maradona faceva il vero allenatore». Intanto i brasiliani fanno i sondaggi e il 79% pensa che Dieguito fallirà. Ma lo dicono con l'aria di chi urla nel bosco per farsi passare la paura. Ci sono poi i suoi amici come Bagni: «L'obiettivo di Maradona è di vincere i Mondiali del 2010. Diventare il commissario tecnico dell'Argentina era il suo sogno ormai da tre anni. È la dimostrazione che Maradona raggiunge sempre i suoi obiettivi». Contano meno perché gli vogliono bene. È chiaro che l'Argentina vuole vincere il mondiale, lo vuole ormai da secoli, dopo aver dominato negli ultimi anni tutto il resto, Olimpiadi comprese. Ci ha provato con l'asfissiante stratega Marcelo Bielsa; ci ha provato col sergentone Basile. Ma ogni volta la squadra che non poteva fallire si è squagliata come un gelato nel forno, prima ancora che la Coppa entrasse nella fase più bella. Maradona non può che fare meglio e questo a molti, non solo ai brasiliani, adesso mette paura. A chi dice che non ha esperienza di panchina, ridiamo in faccia: vero solo in senso logistico. Lui in quel posto non c'è mai stato, anche se lo ricordiamo un paio di volte entrare con la maglia del Napoli numero 16 dopo certe notti impossibili. E puntualmente risolvere ogni cosa. Ridiamo ricordando proprio Klinssman, o Van Basten, o Dunga. Cosa hanno più di Maradona? La verità è che un ct non è un allenatore. È qualcosa per cui più della lavagna serve il carisma. La capacità di prendere i giocatori che vuoi e farli credere in qualcosa di diverso dai dollari. Un parafulmine che spacchi le telecamere e i microfoni, perché in nazionale succede anche che una conferenza stampa sia più importante di uno schema. Lo sa bene Donadoni almeno quanto Marcello Lippi. Questione non solo di scelte, ma soprattutto di forza nel difenderle controvento. C'è poi qualcos'altro di essenziale che Maradona potrà trasmettere ai giocatori più di chiunque: la voglia di essere sempre un po' bambini, cioè esseri che non hanno paura dei sogni. E nemmeno delle convenzioni. Parliamo da tifosi? Per una volta è proprio vero.

30 ottobre 2008

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