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4 dicembre 2008


Amedeo Carboni: «Squadra troppo vecchia, Ancelotti fa già miracoli»
di Carlo Genta

Metti una sera a cena. Che poi l'ora di cena è in realtà passata da un pezzo e là fuori i ragazzi sono già in coda davanti alle discoteche alla moda, sotto un'acqua che Dio la manda. Comunque metti lo stesso una sera a cena, in questi orari un po' così, controtendenza, ai quali questo lavoro ci costringe. C'è l'amico Massimo Callegari, giovane quanto maledettamente competente voce del calcio in tv. C'è Amedeo Carboni che ora è diventato, lui pure, opinionista televisivo. Ma è stato tra, molte altre cose, il più anziano capitano ad alzare una coppa europea. La maglia quella del Valencia. La Coppa, anzi le Coppe, Uefa e Supercoppa 2004. Non avevamo il piacere, di persona, ma su Carboni ci eravamo sempre portati in tasca un'idea. Uno che a 32 anni suonati e con un'operazione fresca al tendine d'Achille, va all'estero, in Spagna e lì diventa una bandiera e un totem, giocando altre nove stagioni e 312 partite. Beh, uno così deve tenere "cabeza y cojones". Anche perché a Valencia non saranno nazionalisti quanto i baschi, ma non ci manca molto. E se fanno di un forestiero, un italiano, un vessillo, vuol dire che questo se lo merita. Del resto nessun altro calciatore nostro - a parte forse, in modo diverso, Zola e ora Luca Toni - ha mai avuto tanto successo all'estero come Carboni. Il tempo di far fuori un paio di margherite e una quattro stagioni e l'impressione è confermata, prima ancora del caffè. Le chiacchiere sono da notte fonda, ma nessun segreto. Allarghiamo volentieri il tavolo. C'è posto per chi ne ha voglia. Si parte dal Milan, che ha appena preso tre fischi a Palermo. «Mi spiace da morire per Carlo», dice Carboni. «D'altra parte sta facendo i miracoli veri con una squadra troppo in là con gli anni e difficile da gestire sul campo e nel peso contrattuale dei giocatori. Guarda che ogni anno Ancelotti porta a casa qualcosa e non ce ne sono tanti che potrebbero stare su quella panchina. Vantaggio reciproco, ovvio, perché il Milan è importante e paga bene. Ma immaginando di sostituire Carlo, chi ci metti lì? Forse un giovane. Ma come se le gestisce poi le pressioni gigantesche che ci sono?». Il discorso fa in fretta a scivolare su Ronaldinho, ma con Amedeo si trova subito un territorio comune. «Tutti quelli che capiscono qualcosa sanno che il fenomeno vero è Kakà. Dinho è una superstar, sta crescendo tanto, ma se giochi con tutti quelli là davanti, finisci per pagarlo troppo quando la palla ce l'hanno gli altri. Lui sconta ancora e sconterà per un altro po' il fatto di aver solo giochicchiato per un anno e mezzo. Questa è la verità: a Barcellona era finita da un pezzo. Eppure lui si è sempre comportato da grande professionista: chiedi pure in giro laggiù, non c'è nessuno che possa lamentarsi. Ma se a una stella così levi le motivazioni, se non lo fai sentire importante, giochicchia». Barcellona è lontana, la Spagna pure. Lì, a Valencia, c'è la casa di Amedeo Carboni, con cinque figli dentro. Lui fa il pendolare al contrario: nel weekend a Milano a lavorare in tv e il lunedì mattina il volo di ritorno, verso il sole. Fuori continuano a buttarla già coi secchi, la pioggia. Dentro i camerieri premono, rovesciando le sedie sui tavoli e abbassando le luci. Hanno ragione loro. Gli unici compagni di sala si alzano e se ne vanno. Lui è un omone d'ebano, c'è da scommettere americano di stanza cestistica da qualche parte qui intorno. Lei una ragazza giovane, mora e carina, con una minigonna con pochissima stoffa attaccata. «Ma vai a casa dalla tu' mamma», soffia lì con un sorrisetto Amedeo. «I bimbi d'oggi fanno spavento. Qui in Italia, dove vengo da turista, e mi piace solo così. Ma ancora di più in Spagna, dove si vive che è una meraviglia. Però il problema esiste. Lì l'incubo di ogni genitore è il bottiglione: si ritrovano ovunque, il venerdì e il sabato sera, in migliaia ai giardinetti o per le strade, tutti giovanissimi. Mandano i maggiorenni a far la scorta di liquori e poi li mescolano nel bottiglione che passa di bocca in bocca. Un modo per socializzare, dicono. Ma pericolosissimo, ti immagini. I genitori protestano imbestialiti, ma non si riesce ad arginare questa modaccia. Per il resto la Spagna è un paradiso di civiltà: le municipalità sono molto presenti nella vita dei cittadini. Gli aiuti, anche in termini economici e di servizi concreti, non te li immagini nemmeno: a seconda del numero dei figli hai diritto a una serie di sconti e di esenzioni che coprono tutto, dalla scuola ai trasporti, fino ai cinema. E poi funziona tutto, dai bus ai treni. Tanto che quelli che da qui vengono a trovarmi restano allibiti da quanto poco traffico di auto ci sia in giro». A proposito di giro, uno di mirto prima del conto. «Pensa che io non mi sono mai ubriacato», dice Amedeo come fosse la cosa più normale del mondo. Ti vengono in mente i calciatori che magari stanno anche nella discoteca lì di fronte. Notti senza fondo e senza freni. Notti di alcol e di altro magari. E un calciatore che non si è mai ubriacato non pare proprio la cosa più normale del mondo. «Ma stanno cominciando a capirlo anche loro, anche quelli più giovani che il corpo è il loro strumento di lavoro. È il bene più prezioso che hanno: se quello cede, possono aprirsi una tabaccheria. O un bar. Anche io ho avuto paura. Giocavo nella Primavera della Fiorentina, allenatore Arrigo Sacchi. A un certo punto mi feci male e non riuscivo a guarire. Andavo dai professoroni con Renzo Contratto, che per me era come andare in giro con Maradona. Ma non guarivo. Un giorno incontrai un vecchino che mi prese la mano e mi disse: tu avrai una carriera e una fortuna che nemmeno riesci a immaginare. Libero di crederci oppure no». Amedeo Carboni ha smesso di giocare a 41 anni e mezzo, da capitano del Valencia. Ci crediamo eccome. Ma chissà come sarebbe andata se quell'estate del ‘95 Franco Sensi e Luciano Moggi non avessero litigato di brutto, facendo saltare il passaggio, già fatto, di Carboni dalla Roma alla Juventus. L'impressione, vedendolo sorridere sereno con quella faccia da ragazzino eterno, è che meglio di così no di sicuro.

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