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19 marzo 2010



Quale Inter a Palermo: quella di Catania o quella di Londra
di Giuseppe Ceretti


Chi l'avrebbe detto? Il campionato ricomincia a dieci giornate dalla fine quando sembrava già concluso nelle brume di gennaio. Tanta prodigalità si deve ancora una volta alla squadra più pazza dell'intera serie A. La stessa squadra che martedì ha fatto bottino pieno a Londra contro il Chelsea di sir Ancelotti, il venerdì precedente s'era fatta fare tre gol in un quarto d'ora dal Catania, dopo aver subìto per quasi l'intera partita il gioco degli etnei. Altro che clamoroso al Cibali.

Non ce ne vogliano i tifosi delle altre squadre, ma senza l'Inter lo spettacolo non sarebbe tale. Intendiamoci, anche altre compagini posseggono gli interpreti adatti, ma ciò che manca è il coupe de théatre, la voglia di stupire che è il connotato peculiare, e non da oggi, dei nerazzurri. Amare e sostenere quelle magliette significa essere dotati di volta in volta di senso estetico, gusto del sadico e del grottesco, arma dell'ironia. Un perpetuo ottovolante.

Protagonista assoluto della compagnia di giro della Pinetina è oggi Mourinho, perfetto anche nel trucco di scena. Con il cappotto blu scaramantico, la barba incolta che incornicia il volto da bel tenebroso, incanta per l'ennesima volta il pubblico londinese, che ora lo reclama a gran voce. Al termine della superba recita si trattiene, se ne sta fermo a capo chino a raccogliere effluvi d'incenso. Assapora il trionfo contro chi non l'ha più voluto su quelle scene. E sussurra: ora ho un contratto, una missione da compiere. Ma domani, chissà, mai dire mai. In Italia non mi amano e non mi ameranno nemmeno ora. Perfetto, esageratamente perfetto, con quello slang italo portoghese che gli consente di pronunciare Zeru con la forza di un fendente, contro tutto e contro tutti. Amato dai suoi, odiato dagli altri, senza mezze misure. Sempre pronto a stupire.
Non è un caso che lo scudiero scelto per stargli accanto sia un uomo mite per vocazione, Beppe Baresi, che vive senza disagio nella sua ombra. Lo immaginiamo rivolgersi a lui sussurrando: «Capo, quando rinasco vorrei essere come te», e Mou che replica: «Vuoi dire bello e spietato?» (Dal film Il fuggitivo, memorabile scambio di battute tra un poliziotto e l'agente federale Samuel Gerard, interpretato da Tommy Lee Jones).

Max Mor è il miliardario della porta accanto. Cappotto slacciato di lana di cammello, eterna sigaretta, eterne chiome scomposte, è l'impresario ideale. Copre ogni magagna della compagnia con l'aria distratta e indaffarata di chi è sempre di passaggio, ma col portafoglio gonfio. È gentile, educato: chi non va in scena? Come? Non è indisposto? È una scelta tecnica? Non mi risulta, ora controllo. Sì, è una scelta tecnica, sono d'accordo con il mister, sussurra alfine beffardo e non sai se ti sta pigliando per i fondelli o dice la verità. Da vent'anni coltiva il sogno della recita perfetta oltre i confini e nel teatro più bello del mondo, quella recita che a suo padre riuscì per ben due volte quasi mezzo secolo fa. Perciò ha ingaggiato decine di primi attori, altrettanti ne ha cacciati e ora stravede per Mou.

C'è poi Ball O' Tell, giovane impetuoso di puro talento e col broncio perenne. Irrompe in scena con la baldanza dei suoi anni senza paura, da grande interprete: che mosse feline, che classe! Quando tutti sono ad ascoltare incantati la giovanissima rivelazione, quello dimentica le battute di proposito, s'infuria, scalcia, irride al copione. Invano gli altri attori lo richiamano, lo consolano, lo incitano, lo perdonano, lo coccolano e alla fine lo mandano a quel paese. Mou lo caccia. Ogni puntata è una sorpresa. Ci sarà alla recita in serata unica a Palermo?

E che dire dell'indomito Zanetti, più presente in scena del mitico Ferruccio Soleri nei panni dell'Arlecchino di Strehler? O di Lucio Lucifero che attraversa il palco scavallando tra un attore e l'altro e lanciando occhiate che paiono strali di fuoco? O di Gatto Cesar che sta sornione e con gli occhi pesti sul portale di scena pronto al gran balzo? O di Marco Materazzi, il Testardo, nei secoli fedele e sempre pronto a sostituire tutti anche per un istante, per pronunciare una sola battuta, lui che visse stagioni di gloria mondiale sulle scene germaniche? Dietro le quinte l'emissario Fernet Branca, costretto a bere l'amaro calice degli insulti dopo una recita venuta male e che si espone al pubblico ludibrio in giacca, cravatta e sudore d'ordinanza. Gli sia reso omaggio.

Questa è la compagnia nerazzurra che vaga di campo in campo offrendo nobiltà a profusione alternata a improvvisi lampi di miseria che squarciano il grigiore del campionato nostro. Che rappresentazione andrà in scena sabato sera a Palermo contro i pupi guidati da Miccoli? Sarà il gruppo ammirato allo Stamford Bridge Theatre o quell'accolita sgrammaticata e balbettante vista all'arena Cibali? Ah saperlo! Questa è l'Inter, signori miei e non ci si può fare nulla.

N.B. Dei cugini dell'altra compagnia milanese avremo modo di parlare in queste settimane di lungo e speriamo appassionante duello. Un gruppo di grandissimi attori di un tempo, con qualche spruzzo di gioventù, che parevano incamminati sul viale del tramonto e che oggi sognano l'ultimo, grande trionfo. Guidati da un bel giovanotto, educato, ma non troppo amato dal capo impresario, stanno cercando di allestire e mettere in scena la cena delle beffe, a danno dell'altra compagnia cittadina. Da non credere: e poi dicono che il calcio non è un gioco per vecchi. Buon campionato e buona recita a tutti.

19 marzo 2010
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