L’avvento dei servizi convergenti voce, dati e video di nuova generazione potrebbe non essere la panacea dei problemi di cassa degli operatori di telecomunicazione, impegnati da tempo a cercare altrove le entrate che andranno perse dal tradizionale traffico voce su reti fisse e mobili, non più capace di garantire i margini da favola di un tempo.
L’industria telco vive una fase contraddistinta da forti evoluzioni tecnologiche e commerciali: la fonia fissa che si integra con quella mobile e viceversa, la Tv che va su Internet e diventa mobile, i dati che viaggiano sulle reti 3G e sui network a banda larga, il Voip che abbraccia il wireless. Gli operatori sono quindi chiamati a trovare nuove modelli di business, delineare nuove strategie di sviluppo della domanda, mettere sul piatto degli investimenti in infrastrutture cifre molto importanti. Rischiando di prendere strade anche pericolose.
Un approfondito rapporto elaborato dagli analisti di Forrester Research ha evidenziato infatti come gli elevati costi necessari per la realizzazione delle reti a banda larga tramite le quali erogare i servizi triple play potrebbero tradursi in significative perdite di bilancio. La corsa all’IpTv, tanto per fare un esempio, potrebbe sfociare in un bagno di sangue non indifferente secondo Lars Godell, Principal Analyst Telecoms in Forrester Research, che si è dichiarato al momento scettico circa le possibilità di successo di questo fenomeno: “la strisciante convergenza tra il mercato dei media e quello delle telecomunicazioni e la crescente concorrenza tra le compagnie via cavo, gli operatori di telecomunicazioni e gli Isp spiegano perchè il broadband triple play è considerato il campo di battaglia su cui giocarsi la domanda dei consumatori finali. Ma questo è un mercato oggi estremamente povero in termini di fatturato e mette a repentaglio la validità di questo percorso”. Tanto che
L’IpTv? Un (potenziale) bagno di sangue
La corsa avventata sul triple play, a detta di Forrester, potrebbe addirittura rivelarsi un suicidio finanziario. Le proiezioni relative a costi e fatturato relativi ai servizi video digitali su Ip, molto diversi per ciascun paese, parlano infatti di una perdita cumulativa per abbonato pari a 3.742 euro in 10 anni, con gli operatori tradizionali di Regno Unito, Francia, Italia e Spagna chiamati a fronteggiare le situazioni peggiori. Per contro rimane ferma la convinzione di vari attori di questo segmento che il triple play ridurrà in modo significativo la possibilità che i clienti passino alla concorrenza, raddoppierà l’Arpu (Average revenue per user) e attrarrà il 30% degli abbonati broadband entro i prossimi cinque anni. Gli operatori tradizionali esprimono un certo scetticismo di fondo verso i nuovi servizi multimediali ma si sentono di fatto costretti ad andare verso il triple play, subendo anche la concorrenza di “piccoli” provider specializzati.
Secondo Godell, il triple play sarà in definitiva un problema e per molte ragioni. Per via di priorità che riguardano attività non-stop di acquisizione e fusione, ristrutturazione e consolidamento, per una visione limitata quanto a innovazione in business “no core”, per limiti oggettivi di natura culturale e operativa. Più concretamente Forrester smentisce coloro che vedono fatturati esorbitanti legati ai contenuti broadcast e chi è certo che i consumatori cambieranno velocemente il loro modo di vedere la TV. L’analista non si è quindi sottratto ad esempi e citando Deutsche Telekom e France Telecom ha messo sotto accusa i rispettivi miliardari investimenti in nuove reti veloci in fibra ottica perché la domanda di contenuti e video a pagamento rimane ancora molto marginale. Meglio, a detta di Godell, mantenere gli attuali circuiti in rame ed evitare investimenti suicidi in fibra e puntare semmai su strade diverse per cavalcare la scommessa del triple-play, come quelle intraprese da Bt, Kpn e Telefónica, che sfruttano attivamente la Tv digitale terrestre per le rispettive offerte di servizi multimediali via Ip. La vera priorità per gli operatori telco dovrebbe in realtà essere un’altra, e cioè la convergenza fisso-mobile, la strada maestra, secondo Godell, per ridurre la perdita di abbonati in attesa di affinare per tempo le strategie e le infrastrutture in chiave triple play.
Cambiamenti in vista, interviene l’Ue
Se i nuovi orizzonti per gli operatori telco non sono esattamente rosei, anche il presente regala varie incertezze. L’azione giudiziaria intrapresa settimana scorsa da Vodafone contro Telecom Italia per abuso di posizione dominante è la faccia di una concorrenza che, nonostante la liberalizzazione del settore (la cosiddetta “deregulation”) sia cosa fatta da anni, non sembra essere sempre tale. In sede di Commissione europea, inoltre, proprio in questi ultimi giorni, si sono registrate due iniziative che molto potranno cambiare l’economia e le dinamiche future di un mercato - telefonia fissa, comunicazioni mobili e servizi a banda larga - che a fine 2005 è salito nei 25 Paesi dell’Unione a oltre 270 miliardi di euro. Importante è quindi l’avvio della consultazione pubblica per l’aggiornamento delle norme comunitarie in materia di telecomunicazioni, risalenti al 2002 e destinate a essere sostanzialmente riviste entro il 2010. Decisamente impattante, anche sui bilanci dei carrier, è il piano proposto dal commissario Ue per i Media Viviane Reding, che vorrebbe abbassare del 70% rispetto alle tariffe attuali, ed entro l’estate 2007, i costi del roaming per le chiamate da cellulare all’estero (servizio cui ricorrono circa 147 milioni di utenti europei). Iniziativa, quest’ultima, che ha sollevato critiche pesanti da parte degli operatori, Vodafone in testa, perché da questi servizi i carrier mobili generano mediamente il 10% dei rispettivi fatturati e ricavano complessivamente in Europa circa 8,5 miliardi di euro.